Burkini: da New York storie di civiltà

tumblr mtuy3rmxJb1sb5bkvo1 640La spiaggia o la piscina possono diventare, si sa, luoghi in cui le molestie sessuali, che siano agite attraverso sguardi insistenti o apprezzamenti verbali, sono spesso all’ordine del giorno.

“Colpa dei costumi succinti”, rispondono regolarmente i portabandiera del maschilismo sempreverde; “guardare e’ come fare un complimento”, fanno eco quelli da sempre abituati a decidere per sé stessi e per gli altri. 

Oggi, pero’, a questa forma di molestia se ne va aggiungendo un’altra, purtroppo, in maniera spesso brutale, perché sostenuta da provvedimenti che, volontariamente o involontariamente, ne avallano l’esistenza e che non ha nulla a che fare con costumi succinti o centimetri di pelle esposta al sole, anzi, nasce esattamente da una situazione opposta. 

Parliamo delle forme di violenza e discriminazione agite nei confronti delle donne musulmane che decidono di recarsi in piscina indossando un burkini, cioe’ il costume coprente, realizzato nel rispetto delle loro tradizioni e con tessuti perfettamente adatti all’acqua: niente di diverso, in sintesi, dagli altri modelli di costumi indossati dai bagnanti, solo realizzati con piu’ materiale. 

Questo dettaglio va precisato perché una delle motivazioni solitamente avanzate per “giustificare” regolarmente provvedimenti restrittivi in tal senso, cioe’ che non consentono l’uso del burkini in piscina o al mare (in Francia sono appunto vietati), e’ che il materiale del costume coprente potrebbe determinare problemi di igiene.

“La verita’ e’ che le persone vedono qualcosa che le mette a disagio e creano immediatamente problemi”, dice Ala Yamout una ragazza di 21 anni residente a Dallas in Texas che, come molte altre, si batte   affinché le amministrazioni cittadine prendano posizione per consentire l’uso del burkini. 

La scorsa estate, Ala e’ stata attaccata verbalmente da un uomo mentre si trovava con sua nipote alla piscina del suo quartiere: l’uomo, che indossava pantaloncini e maglietta, le ha ripetutamente intimato di abbandonare la struttura perché il suo abbigliamento non sarebbe stato appropriato al contesto; il tutto prima di aggiungere la frase, molto cara anche al presidente Donald Trump, “tornatene al tuo paese”.

Lei, però, non si é data per vinta e il giorno dopo ha scritto agli uffici preposti lamentandosi dell’accaduto e dettagliando precisamente i fatti. 

Dopo le scuse, all’ingresso della struttura e’ stato messo in bella vista in cartello in cui il burkini e’ indicato fra i tipi di indumenti che e’ possibile indossare.

La battaglia delle donne musulmane per vedere rispettati i propri diritti, interessa molti stati americani, incluso New York dove, precisamente a Long Island, Ruhee Kapadia, due estati fa si vide negare l’ingresso alla Ecco Park Pool perché il suo costume non era ritenuto adatto; a raccogliere la sua protesta fu Laura Gillen, candidata democratica per la carica di supervisore della città, posizione che da oltre cento anni era solidamente nelle mani dei repubblicani. 

La Gillan promise che, se eletta, si sarebbe occupata della questione sollevata dalla Kapadia, cosi, quando nel 2018, l’affermazione dei democratici nelle elezioni di medio termine ha scardinato molti collegi che sembravano inamovibili, la Gillen e’ stata votata dalla maggioranza e, come promesso, ha deciso di garantire piu’ trasparenza e rispetto.

“E’ stato come un sogno quel giorno - racconta Ruhee Kapadia, descrivendo la sua gioia quando, lo scorso 4 luglio, e’ tornata nella stessa piscina con tutta la sua famiglia - ma non sono contenta solo per i miei figli: io voglio che ogni bambino provi un senso di appartenenza verso questo paese e che nessuno si senta diverso o emarginato”. E le regole possono aiutare a far comprendere che non c’e’ nulla di sbagliato nella diversità e che la multiculturalità implica il rispetto della liberta’ di espressione di chiunque.

Angela Vitaliano