Storie dei vicoli di Napoli – Umberto a via Egiziaca

neonVenendo da via Serra, e ancor prima da Santa Maria degli Angeli, puoi trovare riparo dal sole imboccando via Egiziaca a Pizzofalcone. Ci vuole qualche istante per abituare gli occhi alla penombra e  rendersi conto di dove ci si trova. Il basolo è ovunque, nelle botteghe la vita si svolge frenetica. Inizi a percepire tutti i colori ai quali il passaggio dal sole all'ombra ti aveva reso insensibile: si accendono il rosso dei pomodori di pendolo esposti alla soglia del fruttivendolo, le fantasie fiorite  degli scampoli di tessuto del tappezziere,  i secchielli e le palette gialle e verdi, i palloni arancioni, le sedie a sdraio a strisce bianche blu del giocattolaio che ha appena esposto gli articoli per la stagione estiva.

La piccola bottega di Umberto è, paradossalmente, la meno colorata di tutte. La porticina a vetri, parzialmente oscurata con carta da imballaggio, si scorge appena dietro di cumuli di  fil di ferro in bobine, i tubi di vetro bianco di varie dimensioni, la carta di giornale e i fogli di bollicine in plastica. Bisogna girare con forza la maniglia arrugginita per scoprire che dietro l'anonimo uscio si nasconde il laboratorio di un mago. La prima volta che vedi Umberto lo vedi di spalle. Il profilo del suo corpo di schiena è una sagoma scura circondata da fiamme e scintille. Inizia il suo lavoro alle nove di mattina, una piccola pausa per mangiare un panino comprato dal pizzicagnolo a fianco o gli avanzi di pasta e patate del giorno prima, che la moglie Anna prepara per lui in un gavettino di alluminio. La tabella di marcia ha un ritmo serrato, il lavoro è sempre troppo perché in città lui è il solo. Si, perché Umberto è uno degli ultimi artigiani che lavorano il neon. A lui si rivolgono gli artisti che utilizzano questo materiale: Kosuth, Vedova Mazzei, Laddie John Dill. L'abilità di Umberto nel maneggiare il vetro è unica. Rapidissimo lo scalda  con la fiamma ossidrica, lo soffia,  per poi piegarlo con le pinze dandogli le forme più varie: mani, animali, scritte dai font più disparati. “Io ormai il vetro lo sento. Come se fosse un braccio, o un piede – spiega Umberto – il tempismo è tutto: se cerchi di modellarlo quando è ancora troppo morbido non tiene la forma, se provi a maneggiarlo quando si è raffreddato troppo si rompe”. Alle pareti in esposizione lavori fatti nel passato, a documentare come se fossero fotografie una carriere di cinquant'anni. “Ho iniziato lavorando soprattutto per l'illuminazione delle case e dei negozi – prosegue – dopo dieci anni volevo già cambiare mestiere. Mi sembrava di essere in una catena di montaggio. Poi ho iniziato a sperimentare. Oggi anche nei negozi di Gadget si possono trovare lampade a forma di cactus e di cuori, ma non sono la stessa cosa. Il lavoro manuale si nota. Il primo a chiamarmi fu Kosuth: ancora non so come arrivò a me. Venne in bottega personalmente”.

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Mentre parla non smette di lavorare. Le sue mani, dalla pelle sottile come carta velina punteggiata di piccole macchie scure, sono mani da vecchio ma con le dita agili di un giovane violinista. Mi distraggo, per un attimo non lo ascolto più, affascinata da come il vetro, con la sua anima inflessibile, si pieghi facilmente alla volontà dell'artigiano. “Sono contento della mia vita. Può sembrare triste che l'abbia condotta in gran parte da solo, in questa piccola bottega” le sue parole hanno riacquistato la mia attenzione “ma non è stata una vita triste. Ho conosciuti gente proveniente da tutto il mondo, ho affrontato sfide. La fantasia è stata sempre un'ottima compagna. Il mio unico rammarico è che tutto ciò morirà un giorno con me. Avrei voluto tramandare le mie competenze a un ragazzo o ad una ragazza, alle nuove generazioni”. Il mago cerca un apprendista stregone: si faccia avanti chi non ha paura di domare, fra le fiamme e le scintille, il neon, il vetro e la fantasia degli artisti.

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Chiara Reale