La street art iraniana colora le mura del carcere di Secondigliano

nafir“Ciò che cerchiamo di ottenere non è “solo” arte, ma un cambiamento, una connessione tra le persone e i territori” queste le dichiarazioni del collettivo iraniano Eastreetart, che proprio nella giornata di oggi ha terminato un murale sulle mura esterne del Carcere di Secondigliano, a Napoli. “L’opera di street art, che porta la firma dell’artista iraniano Nafir, è un “omaggio culturale” offerto dalla cooperativa sociale L’uomo ed il legno all’istituto penitenziario con il quale in questi anni abbiamo creato una solida collaborazione attraverso iniziative e progetti che hanno coinvolto i detenuti, nello specifico il loro reinserimento sociale e lavorativo (vedi ad es. il progetto CampoAperto).”

L’opera dell’artista Nafir si chiama People for the Peole, consiste in visi di persone che inglobano visi di persone, un gioco di ripetizioni che vuole evidenziare la comunicazione, il contatto tra gli esseri umani, siano essi uomini, donne, bambini o anziani, ovunque essi si trovino. In particolare, trattandosi di una prigione, la volontà artistica è quella di una connessione tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori”. E chi sta “dentro”, in questi giorni di lavoro, ha avuto l’occasione di contribuire all’opera: grazie ad un accordo preso con l’Istituto, infatti, un giovane detenuto ha avuto il permesso di uscire all’esterno sia per aiutare lo street artist ma soprattutto per avvicinarsi a questo mondo: “Per me quest’opera può essere considerata un “lavoro” – ha commentato Nafir – ma per il ragazzo detenuto è stata l’occasione di creare un momento di condivisione, che è poi il senso dell’opera. Io sono un outsider venuto dall’Iran che improvvisamente si trova a lavorare sulle mura di una città o di un quartiere che non mi appartiene: per questo – continua Nafir – l’idea del nostro collettivo di street art è che la proprietà dell’opera, seppur firmata, è del quartiere tutto, del territorio in cui nasce. Mi piace pensare che quel ragazzo, quando uscirà dal carcere, oppure ogni volta che da uomo libero si troverà a passare per questa strada, potrà adocchiare il murale e pensare: ho contribuito anche io.”

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Una sorta di cerchio della vita, un concetto molto caro all’artista che cita spesso la poetessa iraniana Forough Farokhzad, la quale affermava che “la vita è un ripetersi del ripetere”: una “ripetizione” ben visibile nella colorazione dell’opera, dalle trame che ricordano le geometrie dell’antica arte persiana.

Una ripetizione che in realtà non è ripetizione, ma un movimento circolare infinito che si riconnette ad una visione dell’esistenza propriamente fisica e astronomica, dall’atomo infinitesimale fino al movimento dell’Universo. Ciò che può sembrare una “semplice” decorazione, uno stile di riempimento, è in realtà un messaggio ben preciso. Per Nafir la vita è ripetizione, una ripetizione circolare che una volta conclusa può portarci ad un livello superiore, un livello dove inizierà un’altra ripetizione, e così fino all’infinito, senza però dimenticare la caratteristica principale di questi cicli, banale ma mai scontata: siamo tutti collegati.

Eva de Prosperis