Gioco d’azzardo, moltiplicatore delle diseguaglianze: ecco il “caso Napoli”

tombolaLa Campania è tra le regioni più povere di Italia ma è quella che alimenta di più il giro di affari legato al gioco d’azzardo. Questo perché, più è alto il tasso di precarietà, povertà e disoccupazione di un territorio, più aumenta il fenomeno e, paradossalmente, sono soprattutto i giocatori meno abbienti a far crescere i proventi dello Stato.

Questo quanto emerso dall’incontro che si è tenuto stamattina a Napoli, presso il Complesso degli Incurabili, in cui è stato presentata la prima ricerca qualitativa a livello nazionale mai realizzata sulle carriere dei giocatori problematici, pubblicata da Gesco edizioni nel volumetto “Aggia I’ a Iucà Ma nunTenge’sord”. Il rapporto è stato promosso dall’Unità Operativa Complessa Dipendenze dell’Asl Napoli 1 e curato dalla società Eclectica di Torino.

Il gioco: da problema individuale a sociale

“La ricerca – commenta la ricercatrice Sara Rolando – cambia la prospettiva di un fenomeno considerato finora come un problema individuale, mettendo in evidenza come il contesto sociale e culturale possa influenzare significativamente le carriere di gioco delle persone. Insomma, il gioco è un problema sociale, legato al modo in cui si sta muovendo l’economia, con le sue logiche di mercato, e la politica, che non fa scelte mirate a dimensionare il fenomeno. Il gioco è qualcosa che può avvenire nella vita delle persone, anche un momento, ma riguarda anche la giustizia, economia e welfare di un Paese”. Inoltre, più una regione è povera, più il gioco sarà un moltiplicatore delle differenze sociali, perché chi ha minori possibilità economiche tenterà di cambiare la sua situazione strutturale spendendo di più di quanto si potrebbe permettere, come in una sorta di perversa “tassazione regressiva”.

I dati allarmanti della Campania

Basta dare uno sguardo ai dati: la nostra regione, con una raccolta nel 2016 pari a 7,3 miliardi di euro, si colloca la terzo posto in Italia, dopo Lombardia e Lazio. In particolare, il giro relativo al gioco del Bingo è quello più alto a livello nazionale, come pure la raccolta relativa ai giochi sportivi e alle scommesse virtuali. I soldi effettivamente persi dai giocatori campani nel 2016 sono pari a 1,8 miliardi di euro.

Naturalmente, si gioca dove è più facile accedere al gioco e in questo la regione Campania ha il primato. Secondo il Libro Blu delle Agenzie delle Dogane e dei Monopoli di Stato (2017), la nostra è anche la regione con la maggiore concentrazione di luoghi in cui è possibile  giocare d’azzardo. Si colloca al primo posto per sale Bingo (28), per numero di punti scommessa (1551), per numero di punti e negozi di gioco sportivo (804 e 347). Al secondo posto per ricevitorie e punti vendita lotteria (3415 e 5958), per numero di slot machine (41876) e numero di esercizi dotati di slot (8649).

Il primo rapporto “qualitativo” realizzato in Italia

“Una ricerca sul gioco d’azzardo visto dai napoletani. Aggia I’ a Iucà Ma nunTenge’sord” (Gesco edizioni, 2018) è la prima ricerca che si concentra sulle carriere dei giocatori, analizzando il loro corso di vita, ed è stata coordinata dal Dipartimento delle Dipendenze della Asl Napoli 1 Centro con il gruppo di imprese sociali Gesco e in collaborazione con l’istituto Eclrectica. Sono 42 le interviste realizzate complessivamente tra l’agosto 2016 e il gennaio 2017: il campione, molto eterogeneo per età, classe sociale e livello di istruzione, è composto per metà da giocatori in carico ai servizi territoriali, per l’altra metà da giocatori abituali agganciati nei loro luoghi di gioco.

Napoli ha una tradizione legata al gioco molto più forte che in altre parti di Italia. Dalle storie degli intervistati, emerge come ci sia stato un passaggio dal gioco tradizionale, la schedina, la bolletta, e poi il Bingo, alle slot machine e ai giochi on line, anche da queste parti, nonostante la perdita di socialità che il cambiamento storico del gioco, con l’avvento delle dinamiche industriali, abbia di fatto comportato. Questo perché in questo territorio, caratterizzato da forte precarietà e mancanza di possibilità, nel gioco si cerca una via di uscita.

Le conclusioni della ricerca napoletana

Quello che emerge infine è che i giocatori non hanno una carriera di gioco lineare ma dei picchi, tra momenti di controllo e perdita di controllo. L’indicazione per le politiche da mettere in atto è semplice: bisognerebbe non proibire ma regolamentare nel tentativo di ridurre le possibilità di accesso al gioco e ai suoi luoghi. “Con il Comune di Napoli – spiega Stefano Vecchio, direttore del Dipartimento Dipendenze della Asl Napoli 1 Centro -  stiamo portando avanti questa campagna, non per proibire, che sarebbe peggio e alimenterebbe il mercato nero, ma porre in essere un regolamento per limitare gli orari degli esercizi e il loro proliferare. La stessa pubblicità è ingannevole e non dovrebbe essere permessa”. “La strada da intraprendere per i servizi – conclude Vecchio – è quella di non creare servizi specialistici, che in alcuni casi possono addirittura alimentare stigmi sociali, ma diversificare le risposte rispetto ai diversi tipi di sostanze”.

Intervista alle ricercatrici di Eclectica Sara Rolando e Franca Beccaria 

Maria Nocerino