L’evoluzione del diritto di famiglia tra comunicazione e legislazione

Con l’AMI grandi avvocati e magistrati napoletani discutono dell’applicazione concreta delle leggi

AMI Convegno 1Assegno di mantenimento, testamento biologico, accanimento terapeutico: i nuovi orientamenti del diritto di famiglia sono stati oggetto di un interessantissimo convegno nazionale dell’AMI – Associazione Matrimonialisti Italiani, svoltosi venerdì 25 maggio scorso: “L’evoluzione del diritto di famiglia tra comunicazione e legislazione” patrocinato degli ordini professionali dei Giornalisti e degli Avvocati e dell’Università Federico II e realizzato in collaborazione con la Biblioteca Nazionale di Napoli, sede dell’evento.

Il presidente dell’AMI di Napoli, Valentina de Giovanni insieme alla sezione distrettuale dell’associazione ha riunito un parterre di autorevoli avvocati, magistrati ed esperti di diritto moderati dalla giornalista Ida Palisi, direttore di Napoli Città Solidale (media partner dell’evento). “Le modifiche attese in materia di assegno divorzile – spiega l’avvocato Valentina de Giovanni - l’inasprimento delle pene per i genitori inadempienti, il disagio economico dei padri separati, le unioni civili e tutta la tematica della bioetica, del consenso informato e del testamento biologico, sono i grandi temi del diritto di famiglia che hanno goduto della spinta propulsiva dei media e della comunicazione, ricevendo, finalmente, l’attenzione di un legislatore talvolta disattento o sin troppo conservatore rispetto agli altri ordinamenti europei”. I relatori coinvolti hanno fornito importanti spunti di riflessione mettendo in relazione le norme, spesso non esaustive o non appropriate all’evolversi della società, con i casi concreti. Nella mattinata il focus di discussione è stato il diritto di famiglia a partire dalle ultime sentenze eclatanti come quella Lario-Berlusconi ispirate alla sentenza Grillo del 2017 che rappresenta un cambio di registro rispetto ai trent’anni di diritto di famiglia precedenti. Sono intervenuti: Fausta Scia (docente di Diritto di Famiglia alla Federico II), Antonio Casoria (presidente della Corte d’Appello di Napoli - Sezione minori e famiglia), gli avvocati Giuseppe Siporso, Maria Masi, Stefania Colesanti e il giornalista di Panorama Carlo Puca.

Come sta cambiando il diritto di famiglia 

La sezione dell'11 maggio 2017, sul caso dell'ex ministro dell'Economia Vittorio Grilli e Lisa Caryl Lowenstein, ha introdotto il principio dell’autoresponsabilità e ha archiviato il concetto di “tenore di vita” a favore del concetto di “mezzi adeguati”. Particolarmente interessante ed esaustivo il lavoro della professoressa Fausta Scia che ha chiarito: “La legge stabilisce che l’assegno divorzile spetta al coniuge che non ha mezzi adeguati, ma nella normativa originaria manca il parametro di riferimento per stabilire i “mezzi adeguati” a cosa devono essere adeguati. In una sentenza del ‘89 si parlava di tenore di vita nel matrimonio e si è scelto di usare questo come parametro per 30 anni. In realtà la sentenza Berlusconi Lario ripropone una sentenza della Corte di Cassazione del ‘90 che parlò di “dignitoso mantenimento”. Il parametro del tenore di vita è stato applicato in modo bifasico. Se dare o meno l’assegno era stabilito in base al tenore di vita, il quantum era valutato in base alle condizioni del matrimonio. La sentenza Grilli del 2017 ha bacchettato le Sezioni Unite sulla commistione delle due fasi. D’altra parte è stato già un errore nel 2017 non redimere il contrasto rinviando la sentenza alle Sezioni Unite. D’altra parte anche la sentenza Grilli è contraddittoria. Dice che con il divorzio viene meno qualsiasi legame, ma poi parla di solidarietà tra ex coniugi. Il problema centrale è che esclude qualsiasi rilevanza del matrimonio: un matrimonio di un mese vale quanto uno di anni, un matrimonio con figli è equiparato ad uno senza. Dà quindi all’assegno di divorzio una valenza puramente assistenziale, mentre esso dovrebbe avere una funzione riequilibrativa, che tenga conto del contributo che ognuno ha dato nel matrimonio. L’autoresponsabilita - a cui fa appello la sentenza Grillo- di chi chiede l’assegno non si può tradurre in irresponsabilità dell’altra parte che deve pagare il mantenimento. Non si può negare il vissuto: chi si è occupato dei figli, della cura della casa, chi ha rinunciato alla carriera, chi si è impegnato in un matrimonio decenni rispetto a qualche anno deve ricevere un assegno che tenga conto di tutto questo. E’ molto valida da questo punto di vista una proposta di legge avanzata dall’ex Governo, simile al modello della Francia in cui l’assegno di mantenimento per il coniuge più debole da un lato deve evitare indebiti arricchimenti, dall’altro deve scongiurare il degrado di chi si è impegnato una vita per la famiglia. Il primo criterio- presente in tutti gli ordinamenti- che andrebbe sempre considerato è quello della durata del matrimonio”.

Il presidente della Corte di Appello Antonio Casoria ha sottolineato come il diritto debba calarsi nelle situazioni concrete e come non si possa utilizzare l’esempio di sentenze milionarie per valutare le conseguenze della legge per la media delle famiglie italiane: “L’assegno va adeguato ad una serie di condizioni del matrimonio- spiega Casoria- , come la durata: chi per 30, 40 anni ha rinunciato a prospettive di carriera e ha sacrificato la vita per la famiglia non può ricevere un assegno appena sufficiente là dove è in un’età in cui sono precluse opportunità lavorative. Va tenuto conto poi del ceto sociale: la sentenza Grilli, applicata a milionari non sconvolge la vita degli ex coniugi se l’assegno di mantenimento vale un milione in più o in meno il problema è la normalità in cui spesso è lo stesso marito a non poter conservare il tenore di vita precedente e che anzi si impoverisce con il divorzio”.

Anche l’avvocato Giuseppe Siporso ha fatto appello all’attenzione che va prestata alla specificità dei casi concreti che andrebbero valutati con responsabilità ed equilibrio da parte degli avvocati e dei magistrati, altrimenti “il diritto che dovrebbe tutelare il più debole si trasforma in un’ama di sopraffazione”. Anche Simporso ha poi evidenziato come il concetto di “auto responsabilità” sia fuorviante e rischi di condurre ad un atteggiamento difensivo all’interno del matrimonio. Interessante il contributo sui nuovi media e l’utilizzo in fase processuale di testimonianze raccolte attraverso i social o registrazioni video e audio che vanno considerate dal giudice mettendo sulla bilancia la tutela dei diritti personali e appunto l’apporto di queste testimonianze nella controversia.

Il giornalista Carlo Pica di Panorama ha aperto un focus sull’aspetto psicologico ed emotivo della separazione dando risalto a come vada tutelato anche il diritto alla felicità e dunque a rifarsi una vita terminato il matrimonio. Rispetto alla comunicazione giornalistica, Pica sostiene che se i giornalisti devono sentire gli esperti nelle loro inchieste, nel mondo contemporaneo più potente dei giornali nel creare e far esprimere un’opinione popolare è la comunicazione sui social. “E’ sui social che si legge l’opinione del popolo, e ciò che oggi la società rifiuta è l’avidità”. Maria Masi, del Comitato pari opportunità dell’AMI ha lanciato l’allarme sul modo in cui si parla di violenza di genere sui media e ha parlato di “pari opportunità e riequilibrio tra diritti e doveri” tra i coniugi, soprattutto là dove ci sono i figli, anello più debole nei casi di separazione. 

AMI Convegno 2

Il consenso informato e il testamento biologico

La sezione pomeridiana del Convegno è stata centrata su un altro macro tema legale e sociale di grande attualità ed interesse pubblico: il testamento biologico con gli interventi di: Valeria Marzocco (docente di Filosofia del Diritto alla Federico II), Mina Welby (presidente associazione Luca Coscioni),  il direttore del Corriere del Mezzogiorno Vincenzo d’Errico, gli avvocati Gianni Baldini, Alessandro de Ruggiero e Gaetana Paesano e il notaio Dino Falconio.

Nel corso dell’evento Mariolina Rascaglia, Mina Welby e lo scrittore Maurizio de Giovanni hanno letto dei testi letterari di grande suggestione accompagnati al pianoforte da Luigi Nastri. Questi interventi hanno rappresentato un forte valore aggiunto per l’incontro mettendo in risalto in modo poetico le conseguenze umane dell’applicazione o mancata applicazione delle leggi: dalla lettera alla madre di Giacomo Leopardi, letta da Mariolina Rascaglia, responsabile della Biblioteca Nazionale che ha fatto luce sull’anaffettività della donna, causa probabile della sua depressione, alla lettura di Mina Welby della lettera che Piergiorgio Welby scrisse per chiedere l’interruzione dell’accanimento terapeutico, al toccante racconto di Maurizio de Giovanni sulle morti causate dai rifiuti tossici nell’ex Campania Felix.

Importantissima la testimonianza della Welby sull’iter umano e legale che la donna ha intrapreso a fianco al marito malato, dalla disobbedienza civile fino all’approvazione del testo unico 219 del dicembre 2017 sul consenso informato e il possibile rifiuto dell’accanimento terapeutico. “Una legge che non è perfetta, ma che da risposte concrete a tante persone”, ha spiegato Mina Welby che sta continuando la sua battaglia per il diritto alla libera scelta al fine vita con l’associazione Coscioni. L’avvocato Gianni Baldini che ha accompagnato l’iter di realizzazione della legge, ha svelato i paradossi e le contraddizioni della normativa italiana sul fine vita, ultima arrivata in Europa. “Oggi, le funzioni vitali essenziali- ha chiarito- sono sostituite da alcuni ausili artificiali grazie all’evoluzione delle bio tecnologie, quindi è possibile restare in vita, benché con l’encefalogramma piatto, per vent’anni come è accaduto ad Eluana Englaro che ha continuato a vivere con un respiratore. Chi però è costretto a fare la dialisi o una terapia antitumorale per vivere può paradossalmente scegliere di non presentarsi in ospedale e quindi di morire. Chi invece non è più padrone del proprio corpo non può farlo. Là dove una malattia non si può guarire, ci deve essere la presa di coscienza del medico di accompagnare nel migliore dei modi il malato senza accanimento terapeutico. Il medico dunque non abbandona il paziente, ma si adopera per alleviare le sue sofferenze”.

Poiché la libertà di scelta dipende dal fatto di poter essere in condizioni fisiche e mentali buone è importantissimo realizzare un testamento biologico nonché nominare un fiduciario che possa fare le veci del malato quando non fosse in condizione di poter scegliere. Entrambi i procedimenti devono essere accessibili e chiari a tutti pertanto il notaio Dino Falconio ha spiegato concretamente come si può stendere, depositare e registrare un testamento biologico. “Anche se si definisce testamento, il testamento biologico stabilisce una serie da provvedimenti da prendere quando la persona è ancora in vita e non dopo. Ed è proprio grazie al papa Bergoglio che si è resa possibile l’approvazione della legge perché ha detto no all’accanimento terapeutico”- ha sottolineato Falconio, specificando che la scrittura del testamento può essere realizzata con un notaio oppure essere scritta autonomamente e consegnata ad un ufficiale giudiziario o ancora essere redatto in forma digitale (benché solo poche regioni si siano dotate di una banca data apposita), l’importante è che la persona sia maggiorenne e capace di intendere e di volere al momento della redazione dell’atto.

Rispetto al rispetto del bene dei minorenni nella scelte sanitarie sono intervenuti gli avvocati Alessandro de Ruggiero e Gaetana Paesano partendo dal caso del piccolo Alfie Evans e della normativa che si impone sulla scelta delle persone.

Toccante l’intervento del direttore del Corriere del Mezzogiorno Vincenzo D’Errico che partendo dal proprio vissuto di padre di una figlia con disabilità ha condannato duramente la mancanza assoluta della tutela dei diritti disabili come quello all’assistenza domiciliare e all’istruzione a Napoli. “Solo genitori molto benestanti- ha spiegato il direttore-  possono garantire ai propri figli con disabilità una vita dignitosa e la felicità, mentre gli altri sono condannati a una vita durissima a causa della carenza assoluta di servizi adeguati in una città che paradossalmente si professa tanto democratica”.  

Alessandra del Giudice