La violenza non è un destino

Lella Palladino, autrice del libro, spiega alle donne come riprendersi la vita 

lella palladinoIl 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Il modo migliore di celebrarla è con la speranza del libro “La violenza non è un destino” di Lella Palladino sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza che ci racconta perché la violenza sulle donne è ancora così diffusa, come uscirne riprendere in mano la propria vita.

C’è chi dice che è obsoleta, c’è anche chi ancora , dopo centinaia di donne uccise ogni anno in tutto il mondo dai loro compagni, mariti, amanti, parenti, non comprende la necessità del termine “femminicidio”. E allora ricordiamo che quel sostantivo maschile- non a caso- il vocabolario della lingua italiana lo  definisce così: Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.

Durante la pandemia e in particolare il lock down sono diminuiti tutti i reati, gli unici che sono aumentati sono quelli di violenza intrafamiliare. Così come sono aumentate le telefonate ai centri antiviolenza, ma non le denunce poiché le donne non si potevano muovere per andare a denunciare. Proprio ieri a Caserta un’ennesima donna è stata uccisa dal marito.

Per le donne imparare a riconoscere la violenza subita, a difendersi e ad uscirne è molto complesso, ma è possibile. “Non è un destino” di Lella Palladino (ed. Rosso e Nero) vuole spiegare “la violenza maschile contro le donne oltre gli stereotipi” e dare speranza a tutte coloro che hanno subito o subiscono una violenza maschile più o meno manifesta ed evidente.

La sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza, che ha fondato nel 1999 la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania centri antiviolenza e case rifugio che ha fatto della battaglia contro la violenza sulle donne il fulcro della sua vita, ripercorre nel libro le storie di molte delle donne con cui è entrata in contatto negli anni di lavoro nei centri antiviolenza, mostrando le diverse forme della violenza maschile, ma anche i modi per combatterla.

Cosa racconta questo libro?

La vicenda di donne che, grazie al potere della relazione con altre donne, all’accoglienza empatica, esperta e non giudicante dei centri antiviolenza, sono riuscite a rielaborare la violenza subita attribuendone la responsabilità a chi ne è stato la causa, e a riscrivere così la propria vita. Sono storie di forza, di libertà, testimonianze concrete che “la violenza non è un destino”, che è possibile uscirne, recandosi “nel posto giusto al momento giusto”. Ho cercato di ricostruire 20 anni di lavoro con un’emotività razionalizzata. L’intento principale è la speranza: dire alle donne che è possibile riprendersi il proprio destino, uscire dalla violenza. Infatti c’è una contro narrazione dell’approccio vittimizzante e che condanna le donne che denunciano. Le donne possono chiedere aiuto, possono farcela e soprattutto non morire.

Chi sono le donne che racconti?

Le storie che racconto sono tutte vere, quasi tutte campane. Sono le donne che ho incontrato nei centri antiviolenza e mi hanno lasciato una traccia particolare: ognuna di loro ha un senso per spiegare una parte della violenza: fisica, psicologica, dello sfruttamento sessuale, della tratta. Molte sono storie di donne in una situazione di particolare deprivazione- come sappiamo i dati che dimostrano la povertà e la disoccupazione femminile in Campania sono altissimi - e nonostante ciò ce l’hanno fatta ad uscire. Il messaggio è “Se ce l’ha fatta una donna in una situazione di totale disagio sociale posso farcela pure io”.

Come è strutturato il libro

E’ diviso in tre sezioni: “Orchi” in cui parlo di un tema spesso nascosto: la violenza sulle minori, “Principi” in cui descrivo la normalità della violenza che attraversa la quotidianità di tantissime donne e quindi di tantissimi uomini normali. Infine in “Principesse” racconto le storie delle donne accolte e seguite nel centro antiviolenza e nelle case di accoglienza perché sono principesse che si sono salvate senza principi e hanno cambiato il loro destino lasciandosi sostenere dalle operatrici.

Chi sono dunque i “Principi”?

Sono uomini normali che agiscono la violenza, non sono malati, ma la relazione che instaurano è di potere e di controllo. Di solito sono profondamente convinti di stare nel giusto. E questo accade perché il contesto culturale conferma che gli uomini sono padroni del mondo e che le donne sono una proprietà privata al loro servizio. Quello che spero di essere riuscita a passare è che la violenza è un problema strutturale che ha a che vedere con le dimensioni culturali e quindi l’ordine simbolico oltre che con le dimensioni economiche in una prospettiva inter-sezionale in cui è presente anche lo sfruttamento delle donne ovvero dei tempi del lavoro di cura non retribuiti.

E’ possibile che un uomo violento cambi?

E’ possibile là dove c’è un aumento di consapevolezza, uno sguardo autocritico. Là dove sono attivati dei progetti per gli uomini maltrattanti funzionano, ma spesso se gli uomini sono arrivati a commettere un reato è più difficile. Basti pensare ai sex offenders in carcere che continuano a negare la propria violenza, come gli alcolisti anonimi. Il primo passaggio è la consapevolezza per poi iniziare un lavoro di cambiamento.

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Voi della Cooperativa EVA come siete riuscite ad aiutare le donne a riprendersi il proprio destino?

Oltre 40 donne hanno lavorato nelle ghiottonerie di Casa Lorena, molte di loro hanno acquisito forza e consapevolezza e grazie a questo hanno trovato lavoro altro, altre lavorano ancora con noi.

Credi che il sistema antiviolenza in Campania e in particolare a Napoli funzionino?

La Campania sulla carta è ben dotata di centri che spesso non funzionano. Lo stesso sistema dei cinque poli napoletano è fermo in attesa del bando per l’assegnazione del progetto che durerà meno di un anno. La terza metropoli d’Italia al momento non ha un centro antiviolenza. Senza continuità è difficile dare sicurezza alle donne e offrire un servizio efficiente ed efficace. In generale i centri andrebbero stabilizzati e migliorati nella qualità più che nella quantità, molti operatori non hanno esperienza e competenza specifica, mentre per le case di accoglienza c’è un problema quantitativo: i posti sono insufficienti.

Uno scandalo che denunciamo da anni è che il fondo della legge 119 per il sostegno della rete antiviolenza viene mandato in ritardo dal Governo alla Regione, che lo distribuisce in ritardo ad ambiti e comuni, ma ciò che è più assurdo è che arrivato ad ambiti e comuni il fondo scompare o viene utilizzato solo in parte per progetti dedicati alla violenza sulle donne. La verità è che nessuno controlla come vengono spesi i soldi dagli ambiti territoriali.

Ci sono donne che non ce la fanno?

Per tante che ce la fanno, qualche donna torna a casa anche dopo aver denunciato il marito. Poi ci sono le bambine che sono impossibilitate a ribellarsi e spesso nei casi di violenza sulle minori e di violenza assistita la società arriva troppo tardi. Nella sezione “Orchi” racconto storie terribili e spesso rimosse dalla società, ma che andavano raccontate, come quella di una donna che ha subito sevizie per anni dal padre fino a diventare ipovedente. Ce l’ha fatta ad uscire grazie al nostro aiuto, ma ovviamente la sua vita è segnata per sempre dai traumi subiti per questo sarebbe importantissimo che la scuola, i formatori, gli educatori avessero cura e attenzione a cogliere particolari segni di disagio nei bambini. Purtroppo troppo spesso ciò non avviene.

Il lessico semplice, il riferimento alle fiabe, quale è il target del libro?

Spero che arrivi a tutte le donne, soprattutto a quelle che di solito non hanno accesso alle informazioni. Per questo ho scelto di raccontare storie che colpiscono l’emotività in cui ci si può identificare. Inoltre sarà possibile acquistare il libro anche in e-book a prezzo ridotto così da poter essere letto da più donne possibile.

Quali sono i suggerimenti per farcela?

Nelle conclusioni “per un reale lieto fine” chiarisco gli impegni che la collettività dovrebbe prendere. Rispetto alle donne, tutto il libro è un corale richiamo ad andare nei centri antiviolenza,  a chiedere aiuto.

Lella Palladino ha fondato nel 1999 la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania centri antiviolenza e case rifugio a Maddaloni, Casal di Principe e Telese. È stata presidente dell’associazione D.i.Re, donne in rete contro la violenza, ed è membro del Forum Disuguaglianze Diversità. Ha preso parte in qualità di componente nominata del Tavolo tecnico istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le Pari opportunità ai lavori del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020.

Alessandra del Giudice

Ricordiamo che il numero verde antiviolenza è 1522

Altre informazioni utili: http://www.pariopportunita.gov.it/