Prevenire il Covid in Campania: dalla teoria alla pratica

CovidPrevenire è meglio che curare. Eppure nonostante la campagna politica demonizzi quasi tutti gli aspetti della vita sociale, chi è entrato in contatto con un contagiato e vuole premunirsi per il bene del prossimo è costretto ad affrontare una serie di difficoltà nel sottoporsi agli esami e rischia anche di essere dimenticato a casa per settimane. Dai singoli alle imprese la prevenzione è un costo economico, temporale e psicologico non contemplato dalle istituzioni.

Nonostante la Campania abbia da mesi le restrizioni più rigide di tutta Italia è fanalino di coda in Italia per il numero dei positivi: 7977 nella Regione a fronte di 60134 nel Paese che è tra quelli con i tassi di positivi più alti del Mondo (https://covid19.who.int/). L’ultima ordinanza n.77 firmata dal Presidente Vincenzo De Luca stabilisce la chiusura di tutte le attività private dai bar ai ristoranti per le 23.

Se si è sintomatici al virus bisogna rivolgersi al medico di base che a sua volta chiederà l’intervento alla Asl per il tampone domiciliare. Ma visto il gran numero di richieste i tempi di intervento sono lunghi e l’attesa spesso supera il tempo prescritto per la quarantena di 14 giorni. D’altra parte basta provare (e riprovare a distanza di ore o in giorni diversi) a telefonare al numero verde Covid per la Campania: 800 90 96 99 per ricevere una silenziosissima mancata risposta. Certo si può provare a chiamare il medico di base che tuttavia, pur essendo tenuto a rispondere spesso non lo fa, pensiamo ad esempio al fatto che i medici di base sono impegnatissimi nel fare i testi agli insegnanti e non stanno ricevendo gli assistiti che su prenotazione. Ma chi per qualche motivo non ha un medico di base, perché si è trasferito da poco a Napoli, perché il suo medico è andato in pensione e vuole chiedere informazioni o aiuto direttamente al numero verde rischia di essere abbandonato a sé stesso.

E se è la prevenzione che non funziona?

La Campania è maglia nera per il numero di positivi, le influenze stagionali non sono ancora iniziate, eppure i posti letto di degenza occupati sono 521, i posti letto di degenza disponibili sono solo 663, i posti di terapia intensiva disponibili sono 99, mentre quelli occupati sono già 52. Nonostante ai posti letto disponibili si aggiungono, in caso di necessità, quelli della “Fase C” che prevede l'attivazione di 600 posti letto di degenza, 200 di sub-intensiva e 200 di terapia intensiva, probabilmente andrebbe attuata una campagna di tamponi a tappeto per prevenire un incremento ulteriore dei casi e un sistema sanitario al collasso come a marzo.

Nel caso di sintomi che possono essere assimilabili a quelli da Covid la prassi è chiara, sebbene l’intervento sia lento.  Chiara anche la prassi per il rientro da paesi a rischio con l’obbligo di tampone da una serie di paesi europei ed extraeuropei che peraltro hanno tassi di contagio molto vicini a quello dell’Italia (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5411&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto) mentre la prevenzione interna alla Regione, che singoli o imprese vogliano attuare per tutelare se stessi e il prossimo, non è promossa né supportata adeguatamente. Per quanto riguarda le aziende private, anche molto grandi, quando nel personale viene riscontrato un caso positivo al Covid che potrebbe quindi aver infettato altre persone, non c’è alcun mandato pubblico che stabilisca di effettuare i tamponi sul personale. Sta alla cura e all’attenzione e alle tasche dell’azienda far fare i test ai dipendenti senza alcuno sgravio fiscale: un costo pesante soprattutto in un momento in cui l’economia è già duramente colpita. Le singole persone che si vogliono premunire perché entrate in contatto con qualcuno che ha sviluppato il virus sembrano invece dover lottare per affermare il proprio diritto alla salute. Attualmente nonostante il sistema pubblico dei tamponi funzioni a rallentatore i centri di analisi privati nella maggior parte dei casi non hanno l’autorizzazione a realizzare i tamponi, ma effettuano soltanto i sierologici, il cui risultato dice se si è venuti in contatto con il covid, ma dà certezze sullo stato del virus nel momento presente.

Covid 1

Il caso dell’inutile segregazione di A.

Quella di A., 42 anni è solo una tra le tante storie di confusione e mancata informazione sanitaria legate al covid.  La donna ha subito una sorta di reclusione forzata per aver scelto deliberatamente di sottoporsi al test sierologico essendo venuta in contatto con un amico asintomatico risultato positivo al test sierologico obbligatorio per il corpo degli insegnanti.

“Il mio amico L., che avevo incontrato una settimana prima - racconta A. -, mi ha chiamato mercoledì 9 settembre dicendomi di essere risultato positivo al sierologico. Poiché ero stata eletta presidente di seggio elettorale (n.d.r. non era stato stabilito nessun test obbligatorio per gli operatori dei seggi) e inoltre lunedì 14 sarei dovuta andare al matrimonio di un amico con padre infartuato ho decido di sottopormi privatamente al test per il rispetto per la collettività. Pertanto mi sono subito recata in un laboratorio privato e ho fatto a mie spese il sierologico che in 24 ore è risultato con IgG positive (n.d.r. le IgG sono gli anticorpi che normalmente si sviluppano quando la malattia acuta è già passata, come risposta secondaria dell’organismo, mentre se il virus è in atto, quindi contagioso, sono le IgM a risultare positive oltre le IgG). Il laboratorio ha trasmesso i dati al mio medico che mi ha chiamato dicendomi che dovevo restare a casa e che sarebbe arrivata la task force della Asl a farmi il tampone. Dopo ben 10 giorni, sabato 19 settembre ricevo la chiamata dalla Asl che dice di recarmi al Frullone a fare il tampone, ma poiché il medico mi aveva intimato il divieto assoluto di uscire di casa io lo prendo per uno scherzo telefonico. La dottoressa insiste che devo prendere un taxi o un mezzo pubblico per recarmi al Frullone a fare il tampone. Controbatto che potrei infettare altre persone e lei mi risponde: “Lei adesso non ha niente, solo le IgG sono risultate positive”. Sconcertata per essere stata reclusa inutilmente vado al Frullone per farmi il tampone e mi procurano un ematoma al naso che mi è passato dopo una settimana. Mi dicono che avrò il risultato in 48 ore. Il risultato non arriva, il medico di base non risponde fino al martedì successivo quando mi dice che la piattaforma Asl è in crash. Giovedì il mio amico Luigi, che sta aspettando da 15 giorni il risultato del tampone, mi dice che sul sito della Asl è uscito un nuovo riferimento e che per avere il risultato bisogna mandare una mail a: ritardoesitotampone@aslnapoli1centro.it. Invio la mail e finalmente il 24 settembre mi rispondono che il tampone è negativo. Ma a quel punto inizio una contrattazione col mio medico di base che mi dice che nonostante sia in casa da oltre 15 giorni e che il tampone sia risultato negativo devo fare un secondo tampone. Inizio a scrivere mail a telefonare ad amici medici e poliziotti e tutti mi dicono che posso uscire di casa e non devo fare un secondo tampone. Nonostante ciò il medico di base mi dice che se esco di casa mi denuncia. Il venerdì scrivo di nuovo alla mail della Asl e spiego la faccenda. Mi chiedono di rilasciare nome e numero del dottore perché provvederanno a contattarlo. Il 25 settembre mi comunicano per mail che hanno parlato col medico e che hanno risolto. Finalmente sono libera”.

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