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Giovedì 18 Aprile 2024




Qui Nisida, Si Può Fare

nisida si puo fare“Si può fare”: la nota canzone di Angelo Branduardi è la colonna sonora e il titolo di un’esperienza di peer education assolutamente innovativa che ha compiuto 10 anni. Nell’ ambito dell’incontro pubblico “Qui Nisida…si può fare 2006-2016” la proposta che l’esperienza Si può fare diventi un modello e sia ripetuta oggi, domani e sempre.

Nell’ambito della XX edizione del Marano Ragazzi Spot Festival un posto di rilievo è assegnato al racconto di un’esperienza innovativa e coraggiosa di peer-education “Qui Nisida Si può Fare” lanciata 10 anni fa dal Festival della comunicazione sociale per ragazzi in collaborazione con l’Istituto di Pena Minorile di Nisida. Il 28 novembre pomeriggio, nell’ambito del programma del Festival, nel Centro Studi Europeo di Nisida si è tenuto l’incontro “Qui Nisida…si può fare 2006-2016” promosso da Alessandra Clemente, assessore ai Giovani del Comune di Napoli, per valorizzare un’esperienza a cui lei stessa, appena ventenne partecipò insieme ad altri familiari delle vittime innocenti della camorra.

“Qui Nisida Si può Fare 2006”. Nel 2006 si scelse di portare per una settimana nel carcere minorile di Nisida 12 ragazze degli istituti superiori di Marano e di farle lavorare insieme a 12 ragazzi ospiti del carcere per realizzare insieme uno spot di pubblicità sociale. “Questo è un anno importante- racconta Rosario D’Uonno, direttore del Marano Ragazzi Spot Festival-, cadono sono due anniversari: i 20 anni di esperienza della scuola con il Marano Ragazzi Spot Festival e i 10 anni di “Qui Nisida di può fare”. L’esperienza nasce 10 anni fa nell’ambito di una giornata sui diritti negati organizzata a Marano nell’ambito del Festival, quando invitammo alcuni ragazzi degli istituti di pena campani. Da là ci venne l’idea di portare dei ragazzi delle scuole all’interno del carcere minorile di Nisida. Il direttore Gianluca Guida accettò la sfida con entusiasmo. Far entrare 12 ragazze nel fiore degli anni a Nisida fu un azzardo che si rivelò strategico perché complice la stessa età e l’emotività dall’incontro nacque uno scambio e un’amicizia tra ragazze e ragazzi che permise di superare i pregiudizi reciproci. Emblematica la frase di un ragazzo di “dentro” che disse ad una ragazza: “Non potevo mai pensare che una ragazza come te poteva parlare con uno come me”. Il presupposto con cui siamo entrati a Nisida è stato appunto di abbandonare i pregiudizi e d’altra parte di non avere il pensiero di salvare nessuno. Quella di Nisida è un’esperienza forte innanzitutto per i ragazzi di fuori che insegna ad avere il coraggio di mettersi in gioco abbattendo le proprie barriere”.

“Tre passi e l’alba”. Dopo “Si può Fare”, il Festival di Marano insieme all’associazione Libera contro le mafie, cui è strettamente legato, decise di realizzare un’altra esperienza nuova: portare alla XII Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie di Bari, insieme alle ragazze e ai ragazzi delle scuole, tre ragazzi detenuti che avevano partecipato al gemellaggio in carcere “Si può fare”: Victor, Gennaro e Vittorio. Al momento della lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie che avviene con una staffetta tra i presenti, nel Duomo di Bari, Victor lesse il nome di Silvia Ruotolo, mamma di Alessandra Clemente e moglie di Lorenzo Clemente. L’abbraccio e il pianto condiviso tra Lorenzo Clemente e Victor è il momento che meglio rappresenta lo spirito di questa esperienza in cui si sciolgono le definizioni di “vittima” e “carnefice” e dove il dolore è materia viva che accomuna gli esseri umani che prendono consapevolezza del proprio sentire. Da là si aprì un nuovo percorso di incontro in carcere tra i familiari delle vittime innocenti e ragazzi detenuti. La stessa Alessandra Clemente, l’anno successivo, su invito di Rosario D’Uonno, decise di partecipare all’esperienza “Nisida, donne e colori” che coinvolse anche alcune detenute oltre le ragazze delle scuole e i ragazzi ospiti del carcere. “Nell’incoscienza c’è l’essenza delle cose- spiega commossa Alessandra -. Mi è servito tantissimo capire che il mio dolore era tanto simile a quello di questi ragazzi. Mi è servito condividere sorrisi e lacrime con loro, mi ha reso più forte. Mi ha aiutato ad andare avanti e mi è servito portare i miei occhi pieni di dolore per dire: “Nonostante questa grande ingiustizia subita io ce l’ho fatta ad andare avanti, e tu?”. Entrare nel carcere significa portare loro amore e un messaggio di cambiamento perché ciò che è accaduto a te non accada mai più.  E’ meraviglioso immaginare che non solo questo percorso possa essere utile a chi è dentro, ma che possa essere la benzina per la ragazze e i ragazzi di “fuori” che vi partecipano perché possano diventare mamme, papà, adulti migliori. Noi familiari siamo condannati dal dolore all’impegno. Siamo qui a testa alta, per dire che il percorso di cambiamento è semplice e possibile. C'è una città meravigliosa che può aiutare a cambiare. Qui Nisida si può fare, si è fatto, e si deve continuare sempre in questa scelta”. Applaude questa esperienza augurandosi che prosegua negli anni a venire Maria Gemmabella neo dirigente del Centro Giustizia Minorile della Campania che afferma: “siamo chiamati a far fare ai ragazzi un percorso di vita che permetta ai ragazzi di fare scelte consapevoli. Se un ragazzo ha sbagliato in quell’epoca, in quel momento non va marchiato. Bisogna prendere per mano i ragazzi che vengono da contesti disagiati e avere il coraggio di scommettere di nuovo con loro. Quello che sta facendo l’associazione Libera è incredibile e con lei il Marano Ragazzi Spot Festival che voglio ringraziare in modo particolare”.

“Chi vuole cambiare può cambiare”. L’anno successivo a “Donne e colori”, entra in carcere la musica: con i ragazzi di diverse scuole di aree diverse della città e i ragazzi di Nisida partecipano al progetto di peer-education anche il rapper Lucariello e la cantante Claudia Megrè. Il risultato è come sempre dirompente. Il messaggio di cambiamento e vicinanza arriva dritto al cuore attraverso il fare insieme, l’essere uguali e diversi, tutti sullo stesso piano. Da una settimana di laboratorio di musica e parole viene fuori una bellissima canzone “Chi veut changer peut changer” . Tra gli educatori anche Mariateresa Dolce, insegnante e moglie del sindaco di Napoli che ricorda: “Dopo il primo giorno in cui c’è ancora il muro del pregiudizio, i ragazzi diventano uguali e non è possibile distinguere quelli di “dentro” e quelli di “fuori”. Ricordo con emozione la serata in cui presentammo il progetto al Teatro San Carlo con tante scuole di Napoli: nonostante la giovane età erano tutti in silenzio, commossi. Mi è rimasta impressa la giornata in cui andammo a Roma, tutti insieme in un unico bus, e i ragazzi cantavano spensieratamente. L’unica differenza tra loro era che alcuni avevano avuto delle opportunità, che altri non avevano avuto”.

E’ proprio sulle opportunità che verte l’interveto dell’educatore di Nisida Ignazio Gasperini che ha seguito fin dall’inizio il progetto “Si può fare”. “I ragazzi che entrano in carcere- spiega Gasperini- hanno meno strumenti per recepire determinati valori e contenuti rispetto agli altri, per il contesto in cui sono vissuti. Ma attraverso l’incontro, il fare insieme, l’arte, la musica il cambiamento è possibile. Tra i ragazzi coinvolti dall’esperienza del Marano Ragazzi Spot Festival, tanti oggi hanno una vita normale, un lavoro e una famiglia. Tuttavia, è importante sottolineare che oltre all’impegno che ci mettiamo noi educatori in carcere e alle esperienze di crescita che possono vivere dentro, il problema centrale è, quando escono fuori, trovare un lavoro. Bisogna offrire ai ragazzi opportunità concrete. Troppo spesso le istituzioni e gli imprenditori fanno solo chiacchiere”.

Esemplare Trincar. Invece “fa fatti” in modo silenzioso, ma efficace Giuseppe Trinchillo di Trincar, impresa di demolizione auto di Villaricca che da anni sceglie di dare un’opportunità di formazione e lavoro a detenuti messi alla prova, a ex detenuti e a ragazzi ospiti di comunità con un occhio di riguardo al loro vissuto. “Questi sono ragazzi difficili- racconta Trinchillo -, spesso senza figure genitoriali di riferimento, che talvolta rispondono male e hanno moti di aggressività. Gli amici mi chiedono chi me lo fa fare ad offrire un lavoro a persone che si comportano così con me. Se volessi potrei prendere a lavorare dei figli di avvocato, ma cosa ci sarebbe di utile per la società? Io ho scelto di aiutare questi ragazzi anche perché altri imprenditori non li vogliono, ma se non trovano lavoro il “sistema” è dietro l’angolo a richiamare i suoi “soldati”. Inoltre sono una risorsa: hanno una sveltezza nell’apprendere che altri ragazzi non hanno. Io cerco di incanalare la loro furbizia ed energia usata prima per il crimine in positivo. La società civile siamo tutti noi, non sono solo le istituzioni, ognuno deve fare la sua parte. Io ho la coscienza apposto perché sto facendo la mia”.

La convinzione di tutti i partecipanti è che il modello dell’esperienza “Nisida, Si può Fare” debba essere riprodotto oggi, domani e sempre nelle scuole di Napoli e della Campania, e che vada esportato come buona prassi in altre città italiane.

Alessandra del Giudice