Quando la violenza sulle donna diventa marketing

Eredi corazza pubblicitaDall’inizio del 2016 ben 76 donne hanno perso la vita per mano di compagni, ex mariti ed ex fidanzati; da gennaio del 2015, invece, se ne contano oltre 160. Dall’inizio dello scorso anno, 9 mila donne sono state vittime di violenza, 1.260 di stalking.

Questi sono solo i dati tangibili, verificabili, perché nella maggioranza dei casi le donne non denunciano. La grandezza del fenomeno, che stando ai dati trascritti non sarebbe per nulla in calo, ci fa riflettere su quanto ancora ci sia da fare per estirpare il retaggio culturale alla base della violenza sulle donne. 

Eppure, c’è chi, su un fenomeno così serio, ci costruisce campagne di marketing. È il caso di un negozio di calzature di Frascati che ha scelto di promuovere la propria immagine utilizzando una fotografia, dal dubbissimo valore artistico, che ritrae una donna distesa per terra, col jeans slacciato e stivaletti in bella mostra. L’immagine, costruita forse per sembrare provocatoria (perché oggi pare che la comunicazione debba essere per forza provocatoria), qualcosa in effetti ha suscitato. Disgusto e sdegno. Perché a nessuno sui social è sfuggito il riferimento: la fotografia mostra chiaramente una donna che ha appena subito uno stupro.

I realizzatori della campagna pubblicitaria (agenzia di comunicazione e negoziante), nonostante il mare di critiche,  non si sono in alcun modo pentiti, anzi convinti più che mai dell’efficacia della loro strategia comunicativa, hanno dichiarato al Corriere della Sera online: “Seguiamo la clientela femminile da quasi un secolo e quello che ci interessa è vendere il prodotto”. “Per noi – proseguono – l’immagine non è volgare né sessista. I femminicidi c’erano anche cinquant’anni fa”.

Questi luminari del marketing, che costruiscono campagne promozionali con immagini che mostrano in chiave negativa il proprio target di riferimento (per intenderci è come se per pubblicizzare un giocattolo si mostrasse un abuso su di un bambino), dovrebbero riflettere sul concetto stesso di comunicazione e su quanto la comunicazione sia legata ai cambiamenti culturali e al senso dell’etica.

È vero, i femminicidi esistevano anche cinquant’anni fa e nulla è cambiato, grazie soprattutto al mondo della comunicazione e agli “esperti” che ne fanno parte. Fin quando una fotografia del genere, oggettivamente brutta ed eticamente sbagliata, verrà considerata un prodotto artistico, e soprattutto utile per la vendita di un paio di scarpe, nulla mai cambierà. “Se ne parli bene o male, basta che se ne parli” è un po’ il motto dei nostri tempi e del modo odierno d’intendere la comunicazione. Per questo abbiamo scelto di non citare il nome del negozio, nemmeno quello dell’agenzia di comunicazione, per non fare il loro gioco. Perché se non esiste la netta distinzione tra giusto e sbagliato, nella pubblicità, nel mondo dell’immagine, nella realtà stessa, non sarà mai realmente sbagliato picchiare, violentare, uccidere una donna.

Giovanna Amore