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Giovedì 18 Aprile 2024




Esistenze precarie: foto di gruppo di giovani napoletani

universitaC'è il ministro che ci ha detto di non essere troppo schizzinosi, c'è la famiglia che ci spinge a cercare un modo, uno qualunque, per andare avanti, ci siamo noi, i giovani, quelli che si barcamenano e quelli che si sono arresi. Questa è la nostra fotografia: non una raccolta di propositi ma la semplice restituzione di quello che tantissimi ragazzi napoletani fanno ogni giorno.

Abbiamo chiesto loro di spiegarci come fanno, praticamente, ad arrivare a fine mese. Ecco le loro risposte. Sono le parole di chi prova a mantenere fede prima di tutto nella loro capacità di resistenza e poi nella speranza di un futuro migliore.

A. ha 26 anni. Era iscritto all'università, facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. La sua scelta era in linea con gli studi fatti da liceale: quella per l'arte del nostro Paese una vera e propria passione, portata avanti sin dall'infanzia. Eppure, avendo ben chiaro le condizioni in cui versa l'ambito della tutela del nostro patrimonio artistico, A. pur avendo portato a casa diversi esami con ottime votazioni, ha cominciato a cercare un lavoro che gli permettesse di guadagnare qualcosa. Ha sempre svolto dei lavoretti per aiutare la sua famiglia: A. è stato addetto alle pulizie di vari condomini, babysitter, e infine, ha trovato un impiego in uno studio come segretario. Ad un certo punto gli viene offerta la possibilità di un contratto part-time a tempo indeterminato: l'impegno è tanto, le sue ore di lavoro salgono e A. si vede costretto a lasciare l'università. E' convinto della sua scelta: tanti dei suoi amici sono a spasso anche se laureati. Lui pensa di cedere ai suoi sogni ma di guadagnarne in stabilità e in futuro. Tutto va bene per un anno circa. All'inizio della crisi però il suo datore di lavoro lo licenzia, adducendo il cattivo periodo economico come motivazione. A. si trova disoccupato. Non ha più voglia di rimettersi sui libri. Dopo diverse esperienze scoraggianti, ora lavora in un call center.

A. quanto riesci a portare a casa a fine mese?

Il mio stipendio copre a malapena le spese dei trasporti. Al netto delle sigarette e dell'unico vizio che ho, quello del fumo, porto a casa 150 euro al mese per 5 giorni di lavoro a settimana, circa 35 ore.

Come riesci a vivere con così poco?

Vivo a casa con i miei, non ho un'automobile, non faccio viaggi, non faccio vacanze.

Pensi di poter andare avanti a lungo così?

Per il momento non faccio programmi. In passato mi sentivo privilegiato perché potevo farli anche se il mio contratto, il famoso tempo indeterminato, era di appena 500 euro al mese. Programmavo il futuro, non il presente: risparmiavo. Quei risparmi oggi non esistono più: io aiuto molto la mia famiglia, e quei soldi ci sono stati necessari per vivere fino ad oggi.

F. ha 30 anni. Laureata in lettere svolge quotidianamente 2 lavori. Pur sentendosi in qualche modo fortunata - "Ho due lavori in un momento in cui tanti miei coetanei faticano a trovarne  uno"- spesso è molto stanca. Vive con i suoi genitori: non perché non possa permettersi un appartamento ma perché non può permettersi una vita privata: "Con i miei tempi, non riuscirei nemmeno a far la spesa o a farmi da mangiare. Non riuscirei nemmeno a pulire casa. I lavori che ho mi tengono impegnata 11 ore al giorno. A fine mese ho raggiunto i 1000 euro ma ci tengo a dire che non so per quanto tempo: i miei lavori sono entrambi precari".

Come riesci a vivere con così poco?

Vivo a casa con i miei che non mi chiedono nulla tranne che di contribuire alla spesa. Per muovermi uso i mezzi pubblici anche se la maggior parte delle volte preferisco andare a piedi. Risparmio non per costruirmi una vita ma perché sono terrorizzata da quel che potrebbe accadere tra qualche mese, quando uno dei miei contratti arriverà alla scadenza.

Pensi di poter andare avanti a lungo così?

Un tempo sarei già andata via da questo Paese, oggi mi sento scoraggiata. Tra l'altro non ho più l'età per provare altre strade, o almeno così mi sento. Spero di trovare un lavoro a tempo indeterminato, con dei giorni di riposo... Ma è un sogno, per l'appunto. Il mio fidanzato è nella mia stessa situazione. Siamo condannati a restare dei ragazzini, anche quando ci impegniamo per crescere.

S. ha 32 anni. Laureata, specializzata e con un master, ha deciso di andare via dall'Italia e cercare lavoro all'estero. Oggi vive e lavora in Inghilterra. Convive stabilmente con un ragazzo del posto e per quanto casa sua le manchi non pensa di poter tornare: "Se casa è il posto in cui non senti freddo, casa mia è qui. E' difficile spiegarlo agli altri, anche alla mia famiglia, ma io qui mi sento più capita che nel posto in cui sono nata e cresciuta. Andare via mi è costato tanto anche perché uno dei miei genitori ha dei problemi di salute, ma a restare mi sarei ammalata anche io: di depressione e malinconia di una vita che non sentivo di vivere con orgoglio"

Riesci a vivere con il tuo stipendio?

"I primi tempi sono stati duri, ma qui per quanto la crisi si sia sentita in maniera concreta, ho la sensazione che si sia più attenti a garantire la sopravvivenza delle persone. Per un brevissimo periodo ho avuto un piccolo sussidio, ma è durato poco tempo: ho trovato subito un nuovo lavoro e fino a questo momento sono riuscita a prendere casa con il mio compagno e sto programmando con lui il matrimonio"

Pensi di poter andare avanti così?

"Nei miei pensieri l'idea di tornare non è del tutto accantonata. Ma io, seppure tornassi in Italia, non tornerei al sud. Non so quanto giusto sia questo ragionamento, ma è qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle. Io dalla mia città mi sono sentita tradita".

Raffaella R. Ferré

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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