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venerdì 19 Aprile 2024




Se l'amore non è un film a lieto fine

Quando il dolore è sottile, silenzioso, taciuto e non ha lividi

pugni“Ero il tuo tesoro nel cassetto”: al PAN si è discusso della violenza psicologica nelle relazioni, una condizione che non lascia lividi se non nella psiche, in cui il sopruso è scambiato per amore e che può riguardare chiunque al di là della condizione socio-economica.

Una storia d’amore da film non è necessariamente una storia d’amore felice: le pellicole cinematografiche hanno una trama e una luce diversa da quella della realtà. Soprattutto, hanno un finale: i protagonisti arrivano a noi sgranati dalla pratica del quotidiano, li vediamo conoscersi, amarsi e soffrire, ma sappiamo che presto o tardi succederà qualcosa che cambierà le cose. Lei capirà che lui non è quello giusto; lui si renderà conto di quanto la ama e cambierà registro; l’happy ending è assicurato - qualsiasi cosa succeda prima e qualsiasi cosa accada dopo - perché in fondo siamo al cinema, e al cinema tutto finisce bene, per forza, abbiamo pagato anche per quello.
Che la vita reale non sia così è cosa che in fondo tutti sappiamo: eppure, in virtù di una fantasiosa giustificazione personale, accettiamo, nella pratica concreta delle nostre esistenze, situazioni difficili e storie dolorose. Comprendiamo comportamenti svalutanti dei nostri partner, perdoniamo offese e ingiurie, dimentichiamo i silenzi utilizzati come arma di ricatto, scusiamo le critiche mascherate da consiglio, chiudiamo gli occhi sui tradimenti e sulle bugie, e in attesa che uno qualsiasi degli elementi delle storie che ci hanno raccontato film e libri e i nostri stessi sensi attutiti dall’innamoramento si manifesti, subiamo, mute e senza riuscire a dare neppure il giusto nome a questi soprusi che ci son stati venduti come passione e intensità, la nostra storia d’amore vero, quella che abbiamo aspettato per tanto tempo, quella da film.

La violenza psicologica nelle relazioni è sottile, silenziosa, si muove lenta nelle giornate, cresce eppure può non avere lividi da mostrare anche se il danno che arreca all’anima di chi la subisce è identico, se non peggiore perché quando i segni non sono manifesti è più difficile riconoscere, capire e allontanarsi da chi ci fa del male. È più difficile trovare alleati, anche in sé stessi, figuriamoci negli altri. Si teme maggiormente di non essere capiti e compresi, di esser colpevolizzati per non esser riusciti a reagire o per aver subito ed esser diventato “complice”. Si ha paura soprattutto di veder confermato nella persona a cui abbiamo chiesto aiuto la stessa immagine cui ci ha abituato la nostra relazione: quella in cui il soggetto più debole e che subisce è in realtà un visionario, o peggio, una pazzo. C’è poi tutta una produzione culturale che tende a ridurre una situazione di dolore e oppressione nei termini del romanticismo, per cui tu che provi tanto dolore, sei in realtà solo una persona che ha letto troppi libri o visto troppi film, mentre l’altro passa per quello sicuro di sé, forte, che non deve chiedere mai come recitava uno slogan pubblicitario qualche anno fa.

“Ero il tuo tesoro nel cassetto” è il titolo dato all’incontro di sabato 6 ottobre al PAN: per quasi tre ore Virginia Spada, autrice; Gabriele Lenzi, linguista; Monica Ottarda psicologa e collaboratrice del centro anti violenza di Posillipo e de "le Kassandre" (http://www.lekassandre.com/); Simona Cappiello, ideatrice dell’incontro e studiosa della violenza psicologica nelle relazioni e Simona Molisso, presidente della Consulta delle Elette del Comune di Napoli, hanno messo a confronto vissuto, finzione filmica e saggistica in un tentativo di decostruzione dei processi psicologici che sono alla base di molte relazioni patologiche. Combinando spezzoni di film di successo come “Nove settimane e mezzo” e “Twilight” assieme alla lettura di brani dal romanzo "Il Cacciatore di anime" della Spada e dal saggio "L'eterna fuga - nascita del desiderio amoroso e strategie di dominio" di Lenzi si è provato a mettere in luce i danni che possono provocare le relazioni che si basano su rapporti impari e molestie psicologiche difficilmente riconoscibili, nel tentativo di dare pochi, semplici strumenti per riconoscerle ed evitarle.

Dalle loro riflessioni abbiamo ricavato 10 punti che possono rappresentare un aiuto nel comprendere i campanelli di allarme. Si tratta di situazioni che possono presentarsi occasionalmente nelle relazioni, ma che quando diventano croniche sono sintomi di qualcosa che non va:

  1. Ascoltare il proprio istinto: se per qualche motivo non ci si sente al sicuro, si avvertono sentimenti di paura, insicurezza o rabbia nello stare a contatto con il partner non bisogna allontanare queste sensazioni ma riflettere su di esse. Non bisogna sacrificare le proprie emozioni in nome di un sogno d’amore ideale;
  2. Dubitare di chi fa costantemente leva sulle  insicurezze dell’altro per costruire e mantenere un legame;
  3. Se il partner tende a minimizzare sistematicamente le percezioni dell’altro arrivando a farlo dubitare di se stesso, di ciò che prova o di ciò che ha visto, può essere in atto un tentativo di destabilizzazione psicologica;
  4. Sentire che nonostante il partner abbia dimostrato ampiamente di avere un brutto carattere, di essere irascibile o violento, l’amore possa cambiarlo: questo tipo di approccio che spesso è visto con un’ottica romantica innesca in realtà una dinamica del tipo: “Io ti salverò”;
  5. Rendersi conto di avere una relazione fusionale:  non c’è più autonomia degli individui e non si riesce a dire chiaramente dove comincia uno e finisce l’altro, nonostante sia chiaro il ruolo tra una personalità dominante e apparentemente più forte e una più sottomessa, e apparentemente più debole;
  6. Rendersi conto di avere una relazione che si basa su un “desiderio di relazione”: è la storia di tutte quelle storie in cui le promesse sono vaghe ma continue, il futuro è preso in considerazione solo quando non ha coordinate spazio-tempo. Sono le storie a distanza o quelle in cui gli incontri sono diradati nel tempo da una personalità dominante. Possono  durare anche anni logorando nell’attesa l’altra persona coinvolta che vive in condizioni di forte disagio, sempre aspettando che l’altro dia seguito alle sue parole;
  7. Ricevere e trovarsi a rispondere a domande come: “Cosa hai fatto?”; “Chi hai visto?”; “Come ti sei vestita?”; “A che ora esci/torni?”, oppure ricevere e rispondere a richieste che possono passare come espressione di apprezzamento o protezione ma che in realtà sono forme di possesso e controllo sull’altro;
  8. Ricevere costantemente dichiarazioni e critiche svalutanti sulla propria vita e carattere, mascherati da frasi benevole. Per una donna, frasi come: “Sei una bambina”; “Sei troppo buona”; “Sei troppo emotiva” inducono a dubitare di se stessa, della propria autonomia e capacità di giudizio.
  9. Subire la continua unione di processi di concupiscenza-diniego: quando il partner attua comportamenti di tipo benevolo per ottenere qualcosa e poi punisce l’altro quando egli si mostra ricettivo. In uno dei film analizzati lo schema veniva esplicitato in una scena in cui l’uomo chiedeva alla donna di confessare una particolare azione, dicendole che l’avrebbe compresa, capita e soprattutto stimata di più utilizzando la frase: “A me puoi dire tutto”. Quando la donna confessava l’azione, piuttosto banale, veniva punita prima con il silenzio e poi in senso fisico, con un rapporto sessuale subito e imposto che nella finzione filmica veniva infine presentato come passionale;
  10. Ricevere regali ricattatori o dichiarazioni condizionanti: “Se tu fai questo, io potrei amarti per sempre”; “Faccio questo per te così non ti lamenti”; “Farò questo se tu ti comporterai così”;

Raffaella R. Ferré

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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