Da trent’anni in Italia finisce in un Cie

Aveva denunciato un’aggressione, lo spediscono a Bari 

cie-bariL. D.è arrivato in Italia dal Gambia nel 1988. Lavori saltuari e un passato di droga, da dodici anni ha cominciato un percorso di recupero che lo ha portato a collaborare per diverse associazioni antirazziste e su beni confiscati. Il fatto che fosse un testimone di giustizia e in attesa di un permesso sussidiario per motivi di salute non è servito ad evitargli l’esperienza del Cie. Gli avvocati: “Una vicenda surreale”.

Mercoledì sera si era rivolto ai carabinieri di Castelvolturno, dove vive, per denunciare un’aggressione. Il suo permesso di soggiorno, però, era scaduto e non aveva i documenti con sé. Così in manette ci è finito proprio lui e dopo più di trent’anni nel nostro Paese si è ritrovato nel Cie di Bari. “Per fortuna il giudice di Pace non ha convalidato il fermo per vizi di forma e ora attendiamo che venga liberato per riportarlo a casa”, risponde al telefono dal capoluogo pugliese l’avvocato Mara Biancamano, che con il collega Giancarlo Pezzuti dell’associazione Volo Diritto, sta seguendo il caso. “L. D.è in attesa che il Tar si esprima sulla sua richiesta di permesso sussidiario per seri motivi di salute, nel suo Paese di origine non può ricevere cure adeguate e ora si è trovato a vivere anche se per pochi giorni questa durissima esperienza”.

Una storia surreale: in un Centro di identificazione ed espulsione L.D. ci è finito senza aver commesso reati e dopo aver aiutato, alcuni anni fa, le forze dell’ordine a sgominare una banda di spacciatori, ottenendo per questo un permesso di soggiorno temporaneo come testimone di giustizia. Con la droga che aveva rischiato di ucciderlo aveva un conto aperto. Era stato salvato dall’intervento dei medici dell’associazione Jarry Masslo di Casal di Principe e aveva cominciato un percorso di recupero ei integrazione: “Fino a quando ci sarà una legge che punisce un uomo per il fatto che ha persoil lavoroenon ha i documenti qualsiasi nostro sforzo sarà vanificato. Tutto il nostro impegno di tempo,assistenza e denaroviene semplicemente gettato”, dice Renato Natale, tra i fondatori della Masslo, “Quando ho saputo del fermo non ho avuto il tempo di arrabbiarmi semplicemente perché stavo medicando (nell’ambulatorio dove svolge attività volontaria n.d.r.) un ragazzo africano di 24 anni, accoltellato all’addome da un gruppo di rapinatori. Episodi frequenti di cui gli immigrati sono vittime e che passano sotto silenzio”.

Con l’associazione L.D. ha continuato a collaborare, aiutando tanti altri immigrati di Castelvolturno a bordo del camper di assistenza della Masslo. Un percorso il suo che lo ha portato a lavorare anche in un bene confiscato, intitolato ad “Alberto Varone”  e gestito dall’associazione Al di là dei sogni a Sessa Aurunca. Un’esperienza raccontata per il libro Carta Straccia (Ad Est dell’equatore edizioni)

da Paola Perretta e Simmaco Perrillo. Delle vicende dell’immigrazione in Italia L.D. ha attraversato tutte le fasi: è stato tra i primi braccianti africani a giungere in Campania per la raccolta del pomodoro, a Villa Literno era tra quelli che, destando grande scalpore mediatico, di notte trovava riparo nei loculi di un cimitero. Poi la fine del boom dell’oro rosso la migrazione al Nord, la fabbrica, la perdita del lavoro e l’infatuazione perla droga. Glimancava solo il Cie. 

Luca Romano

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