“Italiani, anzi italianissimi, eppure clandestini”

Intervista a Fred Kuwornu, regista di 18 Ius Soli

spike-lee-fred-kuwornuFred Kuwornu, è l’autore di 18 IUS SOLI film documentario che racconta 18 storie di ragazze e ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma con origini diverse da quella italiana. Vivono o sono nati nel nostro paese eppure non sono riconosciuti cittadini italiani come tutti gli altri. Sarà a Napoli lunedì 20 all’ex Asilo Filangieri per la chiusura della campagna L’Italia sono anch’Io.

Fred, papà straniero e mamma italiana, è già impegnato da anni in campagne di promozione per i diritti dei migranti e degli afro americani. Lavora tra gli Stati Uniti e l’Italia. In seguito all’incontro con Spike Lee e alla partecipazione a Miracolo a Sant’Anna, Fred si dedica alla realizzazione di Inside Buffalo, documentario su un tema mai trattato prima, di un intero reparto dell’esercito formato da afro-americani nella seconda guerra mondiale. Poi il film - documentario simbolo della battaglia per la cittadinanza dei figli di stranieri nati in Italia che sarà proiettato lunedì a Napoli.

Fai anche tu parte della seconda generazione?

“Tecnicamente no perché mio padre è straniero e mia madre è italiana e sono nato già con la cittadinanza ed ho un back ground diverso da chi non ha nonni italiani. I miei diritti non sono violati, ma forse anche per la mia origine mista le diversità mi hanno sempre affascinato.

Inoltre avendo una cultura italiana capisco come può pensare un italiano di 70, 80 anni e per questo voglio trovare un linguaggio per fare arrivare anche a lui certi temi attraverso l’impatto emotivo”.

Come è nata l’idea di 18 Ius soli?

“Nel 2011 ero negli Stati Uniti e ho letto sul giornale che in Italia c’è il problema legislativo per i ragazzi di seconda generazione. La prima sensazione che ho avuto è stata di grande stupore: davo per scontato che chi cresce in Italia avesse diritto alla cittadinanza. I miei amici americani si sono scandalizzati. L’idea è stata quella di realizzare un documentario che avesse un impatto mediatico, che potesse scuotere le coscienze e operare dei cambiamenti. Quando ho realizzato il docu-film in Italia si stava diffondendo la campagna L’Italia sono anch’io”.

Come ha raggiunto i giovani protagonisti del film?

“Mi è stata utilissima la rete di associazioni, in particolare l’Anolf 2g, il coordinamento dei giovani di seconda generazione. Ho incontrato circa 100 ragazzi e ne ho selezionati 18 di cui ho raccontato le storie. Oltre alle storie ho realizzato intervistate anche a sociologi e politici italiani”.

Cosa ti ha più colpito della condizione giuridica dei giovani di seconda generazione?

“Per i ragazzi nati in Italia se entro un anno dal compimento del diciottesimo anno ne fanno richiesta teoricamente dovrebbe essere più facile ottenere la cittadinanza, ma se dimenticano di fare la domanda o non sono nati in Italia la concessione diventa arbitraria.

Devono comunque affrontare un iter burocratico lungo e complesso, che non sempre termina con esiti positivi per il richiedente e tra la richiesta e la concessione trascorrono spesso 3- 4 anni e talvolta i ragazzi si trovano in un limbo e rischiano di diventare clandestini.Coloro fanno richiesta del permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro sono  costretti alla trafila del rinnovo ogni due anni. I ragazzi sentono che gli si fa una concessione discrezionale non che possono usufruire di un diritto che hanno anche gli altri con conseguenti e inevitabili gravi problemi di inserimento sociale e d' identità”.

E della loro vita di ogni giorno?

“Che si sentono italiani molto più di tanti italiani che ci sputano sopra all’essere italiani. Italiani, ma anche romani, milanesi, napoletani. I ragazzi sentono molto anche l’identità locale.

Tra le tante storie mi ha colpito quella di Anastasio nato a Parma e che per problemi burocratici, ha vissuto qualche mese in clandestinità perché gli era scaduto permesso di soggiorno e non aveva ancora ottenuto la cittadinanza. Un vero scandalo”.

I prossimi progetti?

“Presto lanceremo la campagna “Sono nato qui” dal titolo di una canzone scritta da Valentino, uno dei ragazzi di 18 ius soli. Vogliamo mostrare come è cambiata l’Italia in questi anni.

Inoltre ho iniziato a lavorare ad un documentario sugli immigrati che lavorano nel sistema sanitario italiano ad un livello alto: dirigenti, medici, infermieri.

Sto organizzando la prima edizione italiana di un film festival dedicato film, documentari girati da registi di origine afro o africani residenti in Italia. Sulla scia di “Inside Buffalo”, sto realizzando un nuovo documentario sull’apporto dato dagli italo-americani all’esercito, sempre durante la seconda guerra mondiale, erano oltre un milione, quasi il 10% dei soldati. Anche su di loro non è mai stato fatto nulla prima. Da questo spunto si passa al racconto di come la comunità è cambiata nel corso dei decenni.

Il mio scopo è ancora quello di fare attivismo civile attraverso linguaggi che possano arrivare a tutti: quelli dei film e dei documentari”.

Alessandra del Giudice


La Storia: “Napoli sono anch’io”

Fakir, protagonista della battaglia per la cittadinanza 

aravin-fakirIn Italia sono circa un milione i minori di origine straniera, la metà nati nel nostro Paese. Il 42 percento al compimento dei 18 anni non ottiene la cittadinanza. Raccontiamo la storia di Fakir Mohammed, volto napoletano di 18 Ius soli. Non è nato qui ma è arrivato piccolissimo, la sua lingua è l’Italiano, studia da Biomedico e ogni anno è costretto a lunghe file per rinnovare il permesso “per rimanere nel mio Paese”.

Ha 21 anni. E’ un ragazzo slanciato con gli occhi verdi e la voce chiara e sicura. Frequenta il secondo anno della facoltà di ingegneria biomedica della Federico II. Il papà ha un lavoro stabile come operaio in una ditta di acquedotti, la mamma è casalinga.

Tifa Napoli e ama la sfogliatella riccia. “Solo il nome, mi tradisce” racconta Fakir Mohammed. Italiano o meglio napoletano a tutti gli effetti. Non per la legge italiana e quello “ius sanguinis” sembra assurdo anche a lui che in Italia c’è cresciuto.

Fakir è arrivato a Cercola a 7 anni. “Avevo tre mesi quando mio padre è stato chiamato in Italia per lavoro, ma dopo un po’ gli è scaduto il visto e non è potuto più ritornare in Marocco,  io lo conoscevo solo grazie al telefono. Nel ’96 papà è rientrato nei flussi grazie al contratto stabile di lavoro e nel ’97 ha chiesto il ricongiungimento familiare”-ricorda il ragazzo.

Fino ad allora Fakir aveva vissuto nella fattoria del nonno nella campagna di Casablanca, un luogo “dove non arrivavano i turisti. Venire in Italia è stato un cambio radicale di vita”. 

Il ricongiungimento Fakir arriva a Cercola, dove finalmente può abbracciare suo padre e dopo un mese già si sente a casa, anche grazie a delle insegnanti che “hanno avuto un ruolo fondamentale: sono state capaci di accogliere un ragazzo che doveva imparare tutto daccapo a partire dalla lingua, il primo strumento per l’integrazione”.

La famiglia si allarga con la nascita di due sorelline. Fuori di casa Fakir è un italiano, dentro, conserva le origini culturali: la lingua, la cucina, le preghiere mussulmane. “La sera o il fine settimana mangiamo il cous cous: un piatto così per tradizione si deve mangiare in compagnia. Durante le festività mia mamma prepara i dolci marocchini con datteri e mandorle che adoro. I nomi, no, non li conosco. Ma nei giorni non festivi mangiamola pasta. Miamamma, grazie alle amiche italiane con cui organizza pranzi dove ognuna cucina le sue specialità, ha imparato a preparare benissimo i miei piatti preferiti: la lasagna, il gateau e la pizza.”.

Fakir ha tanti amici, gioca a calcio, va bene a scuola e arrivato alla scelta decisiva per il suo futuro è stato determinato più di altri coetanei: ha passato con facilità il test di ingresso per entrare a ingegneria biomedica, che frequenta con successo.

Per Mohammed l’unica differenza con i coetanei sono le abitudini religiose: “si rendono conto che non sono di origine italiana quando mi chiedono il mio nome o durante il ramadan quando devo spiegare perché non mangio”. Al di là di questo viene facilmente confuso per un italiano per la sua proprietà di linguaggio e i suoi occhi verdi; “le persone sono ignoranti. Me ne accorgo quando sul bus qualcuno vede un ragazzo nero che fa il commerciante e dice: questi marocchini ci tolgono il lavoro”. Per fortuna c’è sempre qualcuno che gli risponde a tono”.

Identità negata E’ solo nella lunga fila all’alba davanti la Questura che Fakir si chiede per la prima volta: “io chi sono?”. “A 18 anni ho iniziato a occuparmi io del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari e a fare la fila con tanti disperati”. “E’ quando vorrei partecipare al concorso per il servizio civile e vado sul sito e scopro che non posso perché non ho la cittadinanza, è quando vorrei partecipare ad un concorso pubblico o condividere l’esperienza del militare con i miei compagni e ancora non posso, che mi rendo conto che per la legge io non sono italiano. Alcuni diritti palesi mi vengono negati”.

Per condividere questo dramma prescritto dalla legge Fakir è oggi vice coordinatore locale dell’Anolf 2g Associazione nazionale oltre le frontiere, migranti di seconda generazione, che a Napoli esiste da due anni: “siamo una decina, abbiamo origini differenti, ma le nostre storie si incontrano tutte in un punto: la necessità di essere considerati una realtà stabile”. A questo scopo il gruppo dell’Anolf di Napoli si incontra ogni settimana per organizzare incontri nelle scuole, proiezioni di film e documentari e altre iniziative finalizzate a far conoscere le storie delle seconde generazioni.

L’identità che Fakir definisce “confusa”, è tale solo per lo Stato italiano e per la legge, perché Fakir chi è e cosa vuole diventare nella vita lo sa benissimo: “Napoli è bellissima e vorrei restare qui, ma è molto difficile trovare lavoro e so che probabilmente dovrò andare al nord dove è sono richiesti gli ingegneri biomedici. Di tornare in Marocco non ci penso proprio. Io sono italiano”.

E Fakir non sarà obbligato a tornare in un paese che non sente suo: “grazie al fatto che mio padre dopo 20 anni ha avuto la cittadinanza, presto potrò averla anche io”.

Meno fortunata, come tanti altri, è la fidanzata di Fakir, anche lei di origine marocchina, “vive a Catania e studia laboratorio biomedico. Ci siamo conosciuti in Marocco in estate. Lei è nata in Italia, ma visto che non aveva la residenza ora non risulta vivere da nessuna parte e non può avere la cittadinanza”.

Alessandra del Giudice


Trailer 18 Ius soli

© RIPRODUZIONE RISERVATA