Senza dimora: “La fine del freddo non si porti via i riflettori”

I redattori di "Scarp de tenis" dicono la loro sul piano di emergenza

scarp-de-tennisI volontari in strada raccontano che in molti casi i clochard rifiutano di essere accompagnati in strutture di accoglienza. Anche quando il termometro si avvicina allo zero. La redattrice napoletana del mensile, scritto da senza dimora, Laura Guerra spiega: “Difficile accettare le regole per chi ha deciso di rompere ogni forma di relazione”.

Li incontriamo nella redazione di Largo Donnaregina durante il corso di scrittura creativa. Sono in sei, scrivono su quadernoni la descrizione di una giornata tipo di un senza dimora a Napoli. E le sofferenze provocate dal freddo sono un elemento ricorrente dei loro racconti. “Eccome se non fa male il freddo, in strada lo si avverte di sera, come di giorno. L’inverno può essere terribile. Ora si sono mobilitati in tanti per aiutare chi non ha un posto dove dormire, speriamo che l’attenzione di questo periodo, però, non si spenga presto”, dice Antonio. “I cosiddetti barboni devono essere accompagnati nel reinserimento e non solo aiutati durante l’emergenza. E per questo si fa ancora troppo poco”, racconta Sergio.

Un osservatorio privilegiato. Sul fenomeno “Scarp de tenis” è un osservatorio privilegiato, molti dei cronisti vengono proprio dalla vita di strada, senza dimora che firmano dei patti formativi per svolgere corsi e scrivere racconti e articoli. Alla luce della loro esperienza sul campo non sono sorpresi dal rifiuto di tanti clochard di accettare l’accoglienza in dormitori pubblici  e strutture analoghe. Anche quando fa freddissimo. “In questi posti occorre rispettare delle regole, svegliarsi a orari stabiliti, non portare alcolici, non fumare. Per chi vive in strada da trent’anni e non vuole alcuna costrizione è impossibile accettarle”, spiega Umberto, uno dei collaboratori storici del mensile che dopo anni è tornato a vivere in una casa sua e ne assapora il gusto: “Mi sento libero, anche se ovviamente ho nuovi impegni: pulire, cucinare, ricevere gli ospiti”. Ma non sono solo gli obblighi di orari e regolamenti spesso a tenere lontani da un letto caldo. Lo spiega Sergio, scrittore, che vive in una struttura di accoglienza insieme alla compagna Maria: “I senza dimora non sono una categoria definibile. Ci sono persone di età diversissime, ognuna con la propria storia: chi si è trovato come senza una casa all’improvviso per povertà, chi dopo aver rotto con la famiglia, chi per alcolismo o dipendenza dalla droga, chi ancora per problemi psichici. Come è possibile metterli tutti insieme in una stessa stanza? Spesso la convivenza diventa difficile, impossibile. Ci vuole grande pazienza per resistere”.scarp-de-tennis-2

E allora che fare? “Non dare pesce, ma insegnare a pescare”, ricorre alle parole di Confucio Domenico, autore di una storia che è valsa a Scarp il premio giornalistico indetto daLa Stampa. “Occorrono più psicologi e più operatori che aiutino le persone che vivono in strada a riprendere le redini del proprio destino. E per farlo devono creare dei legami da persona a persona, non limitarsi al meccanismo dell’aiuto”. Una soluzione che Marianna condivide forte della sua storia: “Dipendevo dalla droga e non mi importava di nulla. Chi mi ha aiutato ha dimostrato di interessarsi a me come persona. Oggi sono tornata a casa dai miei genitori e posso riabbracciare mia figlia”.

Su impegno e responsabilità fa leva Scarp. I senza dimora che vi lavorano devono firmare un patto che li obbliga a rispettare delle regole redazionali elementari: puntualità a corsi, riunioni, e decoro quando il giornale viene venduto nelle parrocchie (3 euro a numero, con 1 euro destinato direttamente al venditore). “Eppure anche da noi ci sono state delle defezioni perché di chi non è stato in grado di rispettale”, dice Laura Guerra, giornalista professionista che da alcuni anni segue la redazione napoletana. “La rottura della relazione è il tratto comune della maggioranza delle storie dei senza dimora. Per interventi efficaci occorre tenerlo sempre presente”.

L’appello. “Molte volte capita che se un senza dimora è in difficoltà, il 118 non risponda alle chiamate di soccorso”, racconta Sergio. “Proprio ieri è successo a Gianturco, è a sollecitare l’intervento erano stati due vigilantes”, rincara Maria. “Conviene non dirlo che si tratta di senza dimora”, insiste Domenico. Una denuncia da verificare, ribattono gli altri. Tutti però concordano su un punto: “Quando il freddo sarà finito non dimenticatevi dei senza dimora”.

Luca Romano

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