“Come sopravvivere in un Paese senza opportunità”

Intervista all’autore del caso letterario "Se Steve Jobs fosse nato a Napoli"

antonio-mennaAntonio Menna, 42 anni, è un giornalista e blogger napoletano. Sull'onda delle riflessioni su Steve Jobs, il genio della Apple scomparso a 56 anni, prova una traslitterazione: e se il creativo e visionario della Silicon Valley fosse nato a Napoli? La sua considerazione, il post più letto e condiviso in rete, 130 mila visite in un giorno e mezzo, oggi è un libro.

"Se Steve Jobs fosse nato a Napoli" (Sperling & Kupfer, pp. 192, € 10,50) sarà presentato lunedì 30 gennaio alla Fnac di Napoli, in via Luca Giordano, alle 18.
Hai definito il tuo libro una fiaba amara e provocatoria, eppure Napoli è la città in cui l'arte di arrangiarsi dovrebbe esser patrimonio genetico o quasi. Credi che la fantasia, l'industriarsi,
non basti più?

“Se Napoli è la città dell'arrangiarsi allora i due protagonisti del mio libro sono un po' antinapoletani. Hanno un'idea che considerano straordinaria e vogliono realizzarla, come vorrebbe fare chiunque in qualunque posto del mondo. Probabilmente sono ingenui. Inciampano in mille vicissitudini. Non avendo un capitale iniziale si presentano in banca, convinti che possano avere credito sulla base della loro idea. Figuriamoci. Ci credono, pure troppo. Ma inciampano in continuazione. Ad ogni ostacolo, però, non cercano l'aggiramento. Lo affrontano ma fanno fatica. Troppa fatica. L'industriarsi, inteso come scorciatoia o raggiro, credo appartenga ad un'idea di Napoli un po' oleografica. Esiste ma è marginale. È anche simpatica ma inattuale. La gente, a Napoli, per la maggior parte fa una dannata fatica quotidiana per tenersi dritta. Di certo i protagonisti del mio libro non pensano ad arrangiarsi, semmai pensano al grande successo. E non demordono. Cadono e si rialzano. Se i napoletani sono questo, e secondo me sì, loro, alla fine, sono molto napoletani”.Il protagonista del tuo libro, Stefano Lavori, una traslitterazione di Steve Jobs, cresce nei Quartieri Spagnoli: l'ambiente sociale influisce sulle possibilità individuali?

“Io penso di sì, e tanto. Ma non nel senso di condanna quanto di fatica. I due ragazzi del libro, per esempio, pur dei Quartieri, sono tutt'altro che scugnizzi, furbi e bulli, come si potrebbe facilmente immaginare, o come un certo colore su Napoli ci ha sempre restituito. Sono ingenui, creativi, attraversati perfino da un sentimento di giustizia, una "freva" che li espone. Uno non penserebbe mai di trovarli lì, ai Quartieri. Eppure ci sono. Come ce ne sono tanti nella realtà. Il contesto, però, non li aiuta. Anzi, per un tragico paradosso, sembra allearsi coi peggiori, e quasi divertirsi ad ostacolarli”.

Sei nato a Potenza e cresciuto nella periferia napoletana, pensi avresti avuto maggiori possibilità  se fossi nato altrove? Un Anthony Menna, con buona pace delle radici italiane, avrebbe potuto far di più? Perché?

“Difficile parlare di sé. Io penso che, oggettivamente, ci sono posti migliori di Napoli. Come ce ne sono di peggiori. Il problema non è Napoli o non Napoli. Il problema è  che le condizioni esterne sono decisive per la realizzazione di sé. Questa è una riflessione da fare, in un tempo in cui si tende a colpevolizzare, paradossalmente, chi non riesce. Quante volte abbiamo sentito che si è precari perché non si è capaci? Che si fallisce perchè non si ha abbastanza talento?Quante volte ancora dobbiamo sentir parlare di bamboccioni, di sfigati, di fannulloni? Io penso che i protagonisti del mio libro vogliamo togliersi - come si dice a Napoli - uno po' di "scuorno" dalla faccia. Non sono loro il problema. Il problema è quello che si muove intorno. Le opportunità, a Napoli, ma per certi versi in tutto il Paese, sono poche e questo condiziona molto, soprattutto tra i venti e i trenta anni, quando ti affacci sul mercato del lavoro. Chi ha la possibilità fa bene ad andare via. Questo non vuol dire che qui non si possa fare nulla. Ma è molto più difficile. E sugli ostacoli si perdono molte energie, molte risorse”.

Steve Jobs ha detto ai giovani di Stanford ‘Siate affamati, siate folli’, a Napoli un consiglio del genere potrebbe servire? O la città e chi ci vive è già affamato e folle di suo?

“Io penso che sia un consiglio retorico, fondamentalmente privo di senso. Certo, contano la determinazione, la grinta, la personalità. Se hai talento ma non hai il carattere per provarci fallisci in partenza. Ma basta il carattere?Bastano le qualità interiori?Il mio libro è partito proprio dalla frase che citavi. Mi sono chiesto se fosse proprio vero che bastano le qualità interiori ("fame e follia") per riuscire. Per rispondere ho provato a collocare Jobs a Napoli nel 2011. Non avrebbe fatto una buona fine. Questo vuol dire che è solo colpa del contesto?No. Ognuno di noi ha le sue responsabilità. Ma dico basta alla retorica del "se vuoi fortemente una cosa, la ottieni". A volte, e in certe città,con il mondoche ti gira intorno ostinatamente al contrario, se vuoi fortemente una cosa, probabilmente esci solo pazzo”.

Raffaella R. Ferrè

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