"Yes We Cannabis", quali prospettive dopo il fallimento del proibizionismo sulle droghe leggere

stefano vecchio 2“Il proibizionismo ha fallito in Italia, come nel resto del mondo”. Si riferisce alle cosiddette droghe leggere nel documento"Yes We Cannabis"  prodotto da Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale,sugli strumenti di tutela e le prospettive antiproibizioniste dopo il fallimento della “war on drugs”. Ma quali sono le conseguenze di questo fallimento? Ne parliamo con Stefano Vecchio, direttore del dipartimento dipendenze dell'Asl Napoli 1 Centro.

Nel documento di Antigone a cura di Elia De Caro e Gennaro Santoro con gli interventi di Paola Bevere, Simona Filippi, Andrea Oleandri e Maria Pia Scarciglia (scaricabile da qui) si legge che ad accorgersi dell’ insuccesso “sono stati proprio gli inventori di tale guerra, gli americani, che in 14 stati federali hanno legalizzato l’uso terapeutico della cannabis, in altri (Colorado) anche l’uso ludico”. Ma il dibattito pubblico è davvero mutato? Il tema della depenalizzazione e della legalizzazione delle droghe leggere è davvero più condiviso?

Racconta Stefano Vecchio, direttore del dipartimento dipendenze dell'Asl Napoli 1 Centro che sicuramente c’è una discussione più forte ma in contesti e ambienti già attivi sulla questione: “Ho la sensazione che invece, per quanto riguarda l’opinione pubblica, nel nostro territorio non sia cambiato molto. Se ne discute ancora poco per poter parlare di passi avanti sulla conoscenza di questo tema”.

La legge sulle droghe Fini-Giovanardi, si legge nel documento, “ha avuto l'effetto di riempire le carceri di consumatori e piccoli spacciatori di droghe “leggere” ed hanno aumentato in modo esponenziale l’applicazione di sanzioni amministrative nei confronti dei consumatori”. C’è stato un incremento anche di persone che si rivolgono ai servizi dell’Asl?

Questo è vero. In teoria con la nuova normativa la situazione dovrebbe essere più chiara, ma bisogna sottolineare che spesso si tratta di piccoli consumatori piuttosto che di persone con una storia di lunga tossicodipendenza  e che i servizi dell’Asl non intercettano queste persone.

Sempre in merito alla normativa, un ulteriore punto di discussione è quello sulla coltivazione di cannabis per uso personale: “Oggi - si legge - qualcosa è cambiato e sono molte le Regioni italiane che, con coraggio, hanno intrapreso la via delle sperimentazione per uso terapeutico da Nord a Sud”. Uno degli esempi riportati riguarda la Puglia, in Campania invece cosa succede?

La Puglia è una di quelle regioni che si è impegnata per permettere l’uso terapeutico: la legge prevede, infatti, che si possa utilizzare la cannabis per curarsi ma nei fatti avere questa possibilità è difficile sia per ragioni di costi che burocratiche. Sarebbe una strada interessante da seguire quella di poter coltivare nel proprio territorio fornendo a chi lo abita una reale possibilità di accedere a questa terapia ma di fatto le persone che possono davvero farlo sono davvero poche.

Nel documento si parla anche dei “Cannabis Social Club”, gruppi di consumatori che si uniscono dando luogo ad una produzione di sostanze atta a soddisfare le loro esigenze di consumo sia per garantire una serie di diritti alla cura, sia per promuovere un controllo di tipo relazionale su chi consuma.

I “Cannabis Social Club” sono molto diffusi in Spagna dove l’uso personale e la coltivazione per uso personale in luogo privato è possibile, anche se sono a conoscenza di varie difficoltà. Ci sono esperienze in Italia che hanno lo stesso tipo di approccio, e la possibilità di depenalizzare la coltivazione è al centro di vari dibattiti anche a livello normativo anche perché un soggetto consumatore, quando non può coltivare in proprio per il suo uso personale, è spinto ad alimentare un mercato illegale. 

Una politica antiproibizionista potrebbe agevolare il controllo e la riduzione del consumo di sostanze come la cannabis?

Nell’ambito del nostro lavoro, la finalità di un intervento terapeutico è sempre quella di ripristinare un controllo e un’autonomia nella propria vita riducendo il consumo delle sostanze e la dipendenza dalle stesse,l’importanza delle stesse nella vita della persona che riacquista così un equilibrio. L’autoregolamentazione è una strada possibile. Per quanto riguarda, invece, la gestione politica ci sono Paesi come il Portogallo, l’Olanda, la Spagna, addirittura vari stati americani,  che adottano una politica diversa dalla repressione mentre in Italia abbiamo ancora molti pregiudizi e stigmi che spesso finiscono per essere più forti di un ragionamento serio e organizzato dell’operazione più adeguata da portare avanti. Che le politiche repressive non abbiano avuto il risultato sperato è però un fatto sancito sin dal “Rapporto della commissione globale per le politiche sulle droghe” (per leggerlo, clicca qui)  che vedeva l’apporto di personalità come Javier Solana, ex Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e la Sicurezza Comune e Kofi Annan, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite e spiegava che “La guerra globale alla droga è fallita, con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo. Cinquanta anni dopo la Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti, e a 40 anni da quando il presidente Nixon lanciò la guerra alle droghe del governo americano, sono urgenti e necessarie riforme fondamentali nelle politiche di controllo delle droghe nazionali e mondiali”.

RRF

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