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venerdì 29 Marzo 2024




La campagna precaria contro l’affitto di “Magnammece ‘o pesone”

“In Campania 16mila in case occupate. Noi parliamo di diritto all’abitare”.

magnammece-o-pesone-2E se abitare a Napoli fosse una questione di pieni e di vuoti? Se più che costruire fosse necessario riorganizzare? Viene da chiedersi questo parlando con gli attivisti della campagna precaria contro l’affitto “Magnammece ‘o pesone”. Giovanni Pagano è uno di loro. Con lui parliamo di autorecupero e della creazione di una nuova cartografia della città a partire dai bisogni della cittadinanza. Ma non solo.

La storia delle occupazioni degli immobili inizia negli anni Settanta coi comitati di lotta degli inquilini; negli anni Ottanta, poi, con il terremoto e la ricostruzione c'è il boom. Negli anni successivi complici le lungaggini dei cantieri e i blocchi dei lavori dovuti a diversi scandali, la nostra regione ha visto diverse fasi di occupazioni, spesso di immobili che non erano stati neppure completati del tutto. Il discorso degli attivisti di “Magnammece ‘o pesone”, oggi, tiene conto della storia e va oltre. Si parla di sfratti, sgomberi, ma anche di affitti a nero e di spazi inutilizzati del patrimonio pubblico: “Noi non chiediamo un alloggio per noi stessi- spiega Pagano-, chiediamo l’alloggio come diritto e vogliamo essere riconosciuti non come persone in stato di emergenza, ma come cittadini: il nostro diritto è quello di vivere la città e di abitarla, cosa che diventa poi diritto alla casa, alla mobilità, allo studio, ad essere protetti da una serie di meccanismi che rendono ricattabile una persona che voglia vivere a Napoli”.

Quali sono questi meccanismi?

“Sono diversi ma un esempio lampante si trova nel nostro centro storico dove tantissimi giovani studenti si vedono costretti a pagare cifre da capogiro per un misero posto letto, spesso in ambienti carenti delle minime comodità e senza alcun contratto legale. In Campania poi c’è un altro dato di cui disponiamo: 16mila persone vivono in case occupate”

Da quando è stata lanciata la vostra campagna avete portato avanti anche voi diverse occupazioni di spazi cittadini aprendo anche due sportelli per sensibilizzare le persone. Qual è, concretamente, il vostro obiettivo?

“Oggi ci sono due occupazioni in corso, cui partecipano 37 persone: dell’ex Scuola Michelangelo Schipa di via Salvator Rosa e della Villa De Luca a Capodimonte. Negli atenei abbiamo aperto due sportelli, uno all’Università Orientale e un altro alla Federico II, gestiti da movimenti che hanno aderito alla campagna come “Aula Flex” e “Aula LP Lettere Precarie”. La volontà è quella di coinvolgere diverse realtà nella nostra campagna, dai collettivi ai singoli. Il diritto alla cittadinanza, per come lo intendiamo noi, parte dal fatto che ci sono intere fette di precariato che non vengono riconosciute, ma interessa anche la qualità abitativa: non parliamo solo di avere un tetto sulla testa, per capirci”.

Quali sono i passi da compiere?

“Noi facciamo un discorso che passa per l’urbanistica prima di arrivare al welfare. È un problema politico quello che poniamo: non vogliamo sostituirci alle istituzioni, non siamo il loro controcanto e non proponiamo semplice assistenza; vogliamo metterci in gioco, organizzarci e rivendicare i nostri diritti in maniera pratica facendo i conti anche con quelle che sono le incognite del mercato immobiliare in questa città come la svendita del nostro patrimonio pubblico. Abbiamo anche ottenuto piccole vittorie: dopo l’occupazione dell’Archivio di Piazza Dante siamo riusciti a salvarlo”.

Quando si parla di emergenza abitativa e di fasce di reddito, spesso si parla di costruire nuove case. Voi come la pensate a riguardo?

“Se si guarda all’intera area metropolitana di Napoli ci si rende conto di quanti spazi esistano: allora cominci a capire che non serve costruire quanto riconvertire, riorganizzare, mettere a frutto quegli spazi, dandoli a chi li vive davvero. Per questo lavoriamo con un gruppo di architetti per un progetto di riuso degli spazi: la cosa che ci sta a cuore più di ogni altra è ridare valore a questa città e ci sono forze attive in questi processi che lavorano già, senza il supporto delle istituzioni, ad uno studio sul patrimonio cittadino”.

Il dialogo con i soggetti istituzionali è davvero impossibile? 

“No, anzi. Il punto è che le istituzioni sembrano non porsi il problema. La Regione ci sembra completamente staccata da questo tipo di discussione, mentre le Università, per quanto si sia verificato esattamente quello che dicevamo nei movimenti studenteschi dal 2008 con la crisi, i tagli e la carenza di servizi, sembrano ancora sorde. Il sindaco De Magistris dice che non farà sgomberi e speriamo di aprire con lui una possibilità di discussione, anche in termini di organizzazione. Noi non siamo chiusi a forme di cogestione, ad esempio. Noi pensiamo all’occupazione come a persone che prendono a cuore lo spazio occupato e lo rendono pubblico, non più chiuso e impossibile da utilizzare”.

RF

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