“Inserimento rifugiati partito con il piede sbagliato”

Marika Visconti, responsabile della Less, commenta il post emergenza.

marika-viscontiE’ scaduto il 9 marzo il Re.La.R, il bando di inserimento lavorativo rivolto ai richiedenti asilo. Sarebbe dovuto essere un primo passo verso l’integrazione dei profughi giunti in Italia due anni fa con l’Emergenza Nord Africa. “Una proposta tardiva e mal formulata”, è il giudizio negativo di Marika Visconti, responsabile dell’associazione Less che gestisce a Napoli il Sistema di protezione per rifugiati.

Perché giudica negativamente il bando?

“In primo luogo mi chiedo perché un intervento sia arrivato a emergenza conclusa. Per un anno e mezzo i richiedenti sono stati abbandonati negli alberghi e ora che la maggior parte di loro è fuori dal sistema di accoglienza si lancia la proposta dei tirocini. Intercettarli adesso è molto difficile, in tanti, presi dal bisogno di vitto e di un alloggio, sono andati via alla ricerca di un lavoro. Rendere appetibile un percorso di tirocinio adesso diventa estremamente difficile. E poi l’avviso pubblico è formulato male, mortifica competenze e rende non conveniente aderire”.

In che senso? 

Nel bando si legge: il contributo a favore del soggetto promotore potrà essere riconosciuto solo ed esclusivamente a condizione che il beneficiario – a conclusione del percorso di tirocinio – dimostri: o l’avvenuta instaurazione nei confronti del tirocinante di un rapporto di lavoro di durata non inferiore a 6 mesi. In soldoni significa che l’operatore, la cooperativa o l’ente che fa capo al tirocinio deve trovare l’azienda, tenere i contatti con Italia Lavoro, seguire il percorso del tirocinante e, alla fine, se l’esperienza non si concretizza in un’assunzione, come è facile prevedere dalle statistiche sull’inserimento lavorativo, non vedersi riconosciuto il lavoro svolto. Una prospettiva mortificante. Tra i promotori sono ammesse agenzie di formazione, cooperative e università non lo sono le associazioni non iscritte all'albo regionale degli enti proponenti, di fatto escluse tante associazioni che si occupano da anni di immigrazione...

Come giudica in generale la gestione dell’emergenza e ora del post emergenza? 

Un miliardo e 300 milioni di euro sprecati. Tantissimi soldi per non garantire nessuno dei servizi previsti: nessuna consulenza legale, né sanitaria, né accompagnamento a servizi terzi che fanno orientamento, lavoro, cultura. Anche gli interventi del post emergenza sono calati male, sbagliati. Aver prima stabilito il 28 febbraio come data ultima e poi aver previsto la prosecuzione per altri 6 mesi ha creato il panico. Chi ha accettato i 500 euro vorrebbe rientrare, ma in tanti hanno già impegnato buona parte della buona uscita, e non sono in grado di restituire la somma per essere riaccolti. Diciotto neomaggiorenni, che partecipano a un progetto di inserimento lavorativo gestito da noi della Less, sono irreperibili dal 1 marzo perché alla ricerca di lavoro o perché hanno raggiunto amici in grado di ospitarli in altre città. Così si vanificano sforzi importanti”. 

In vista di nuovi sbarchi come dovrebbe essere gestita l’accoglienza?

“In primo luogo ritengo che l’emergenza sia stata gonfiata. 40mila sbarchi, a tanto ammontava il numero di richiedenti giunti in Italia dopo lo scoppio della guerra in Libia, non sono un numero tale da giustificare misure straordinarie. Appena 10 mila in più del 2008 quando cominciò la politica dei respingimenti. Quindi andrebbe approntato un modello di accoglienza della normalità. Noi lo abbiamo è lo Sprar: periodo di tempo stabilito e limitato, parametri alti di assistenza e percorsi a termine di accompagnamento all’autonomia”.

Quanto costerebbe lo Sprar se confrontato con l’accoglienza dell’emergenza?

“I parametri prevedono una spesa pro capite al giorno dai 36 ai 46 euro. Quanti sono i soldi stanziati per i richiedenti degli alberghi. Va incentivato, si deve adeguare il numero di posti previsto adeguandolo alla domanda, e non stabilirlo a monte come avviene adesso. E come se si stabilisse che a scuola ci sia un numero chiuso di iscrizioni, lasciando fuori tutti quelli che non fanno a tempo a iscriversi. E’ francamente assurdo”.

E’ stato però previsto un allargamento del sistema di protezione.

“Settecento posti in tutta Italia, un numero irrisorio. I richiedenti, considerati vulnerabili, perché vittime di tortura, violenze, donne con storie difficili, o con prole, invece, da quanto previsto dall’ultima circolare, hanno la possibilità di restare negli alberghi, ma rischiano ancora di restare abbandonati. Non è così che si costruisce l’integrazione. Abbiamo speso una cifra immane per produrre altri clandestini”. 

Avete provato a far sentire le vostre argomentazione alle Istituzioni? 

“Nella fase di gestione della Protezione Civile abbiamo offerto il nostro aiuto, ma non ci hanno mai contattati. Siamo passati alle denunce sulla cattiva gestione, e non c’è stato seguito. Nel post emergenza era previsto che nella proroga ci sarebbe stato un coinvolgimento degli attori che si occupano di rifugiati, e si ipotizzava che avremmo partecipato. Ancora una volta nulla. Noi non ci stanchiamo di essere propositivi, il problema è che non sembra esserci la volontà politica di affrontare seriamente il tema”.

L.R.

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