Giovani, restate a Napoli

Parla Alessandra Clemente, neo assessore alle Politiche Giovanili.

alessandra-clemente-3Il neo assessore ai Giovani e alle Politiche Giovanili, alla Creatività e all’Innovazione è la quasi 26 enne Alessandra Clemente. Il più giovane assessore che la città abbia mai avuto si trova esattamente a metà dell’intervallo quindicenni-trentacinquenni, fascia in cui i cittadini oggi vengono definiti “giovani”.

Forse è proprio perché i problemi e le esigenze dei giovani li vive in prima persona pur avendo una maturità superiore a quella dei coetanei, che Alessandra sembra l’assessore ideale per una città così “giovane” eppure così complicata come Napoli.

Alessandra è presidente della Fondazione Silvia Ruotolo, intitolata a sua madre rimasta uccisa nel fuoco incrociato di un agguato di camorra nel 1997, con cui promuove e segue progetti che puntano al reinserimento sociale dei ragazzi detenuti e a rischio. Dunque l’esperienza politica Alessandra, laureata in legge, l’ha maturata sul campo: a fianco a Libera, al Coordinamento dei familiari delle vittime innocenti di camorra, al Marano Ragazzi Spot Festival e con la pratica legale alla Fai Fondazione Antiracket Italiana.
La trasparenza e l’uguaglianza nell’accesso alle opportunità sono i punti cardine del suo programma finalizzato a far diventare i giovani “protagonisti della città”.

Come giustamente hai detto non puoi prescindere dalla tua esperienza personale segnata dalla perdita assurda di tua madre per mano della camorra, che ti ha fatto maturare in fretta una sensibilità e una grinta particolari. In che modo conterà in questa nuova avventura?

In Conferenza Stampa non volevo qualificarmi come figlia di Silvia Ruotolo, non l’ho mai fatto in questi anni. Ma poi ho pensato che è ciò che sono e che quello che sono oggi, lo devo alla mia storia. Ci sono tante ferite in questa città, una è la mia. Io credo molto nella frase di Neruda “La speranza ha due bellissime figlie: lo sdegno e il coraggio...Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”. Dove si prova grande sdegno si può maturare anche grande coraggio. Essere dotati di una certa sensibilità scomoda, che a volte vorresti non avere, talvolta ti fa stare male quando vedi le cose che non vanno, però poi ti arma, ti fa essere un diverso, ti fa essere più forte e trovare le motivazioni perché non vuoi più che ciò che ti fa soffrire, faccia soffrire ancora te, la tua famiglia, altre famiglie, i tuoi migliori amici.

Tu stessa prima di accogliere la proposta di diventare assessore ti preparavi per andare a vivere a New York. Come percepisci la sfiducia dei giovani napoletani che vanno via?

E’ una scelta molto difficile andare via perché implica molta sofferenza. Immaginare la realizzazione personale e lavorativa in una città che non sia Napoli, non è mai una volontà. Tutti dentro abbiamo il desiderio e il sogno di voler affermare e realizzare le nostre passioni in questa città. Ci sentiamo costretti ad allontanarci. Non possiamo fare altro che urlare tutti insieme che abbiamo diritto a volere una città in cui non siamo ospiti, cioè sentendo che prima o poi ce ne dovremmo andare, ma in cui siamo protagonisti.
Avendo già vissuto un’esperienza a New York, ero pronta a Gennaio a tornare là per un’opportunità di formazione legata ai miei studi di diritto, ma avevo bene in mente l’idea di tornare e dare il mio valore a questa città. Se andiamo via, a chi la lasciamo la città? Oltre che alle nostre famiglie, la lasceremo ai nostri migliori amici che non hanno avuto la possibilità di andare via.

C’è una rete che mi ha commosso che è “Noi Re(si)stiamo Qui” che rappresenta il diritto di tutti noi di contribuire con i nostri percorsi, l’impegno e la fatica alla città. Il mio impegno non ha nulla di meno all’esperienza di tanti miei coetanei che si sono laureati, che hanno esperienze di lavoro decennali, ma sono in una condizione di precarizzazione cronica. Tutti, dal ragazzo del bar al ragazzo dei saloni estetici, da chi fa la pratica negli studi commerciarli e legali a chi vuole iniziare a scrivere nei giornali sono in sofferenza, ma dobbiamo operare perché si avvii un’inversione di tendenza.

Non avendo mai fatto “politica” nel senso forse più banale del termine: quello burocratico, come stai affrontando questo compito molto impegnativo, che può limitare il tuo essere giovane?

Sento questo come un passaggio da cittadina ad amministratrice, più che da cittadina a politica. Sono consapevole di non venire da un percorso politico, ma questo non mi spaventa, anzi. Nella mia esperienza c’è l’energia dei movimenti e di tante persone che sono connesse in modo sentimentale con i territori, come diceva Gramsci, che mi spingono. Quello dei movimenti civili lo vivo come un grande punto di forza, perché è un percorso impegnativo che implica anche la rinuncia, quindi è stato naturale per me continuare quando mi è stato chiesto di passare al lato delle responsabilità. Certo devo completare la mia esperienza con la gestione amministrativa, ma porto dentro tutta quella che è la sensibilità al sociale, la garanzia di trasparenza e legalità, di fare in modo che le condizioni di accesso alle opportunità siano uguali per tutti.

La disoccupazione giovanile è ai massimi storici, ma mancano i fondi per lo sviluppo. Cosa fare?

C’è un accesso ai finanziamenti che è difficile. Bisogna superare l’ottica che bisogna appartenere a dei giri per accedere ai finanziamenti, ci devono essere regolamenti e bandi estremamente trasparenti, mettendo tutti in condizione di conoscere quel finanziamento. Anche la progettazione europea non deve essere qualcosa solo per gli addetti ai lavori, e su questo il Comune sta già facendo un ottimo lavoro. Nel primo tavolo inter assessorile cui ho partecipato, convocato dall’Assessore Panini, si sono discussi i piani di sviluppo della città rispetto al rapporto con la Comunità Europea.
E non è un caso che i due ragazzi che mi stanno affiancando e credono nel progetto innovativo di questo assessorato, vengono da una grande esperienza di progettazione e rendicontazione europea, perché il mancato sfruttamento dei fondi a disposizione del Sud è una criticità che deve essere invertita. I soldi pubblici non possono essere saccheggiati.
Non si parla più di “progetti e bandi” ma di Patti locali, la “politica del fare” diventa quella del “pensare strategico”, i tavoli di concertazione devono lanciare programmi pluriennali;  la logica del “finanziamento assistenzialistico” deve lasciare il posto  a quella che pensa il finanziamento pubblico come produttore di effetto leva per altri finanziamenti pubblici e privati per realizzare una strategia comune seria e a medio/lungo termine che aiuti a utilizzare al meglio le risorse economiche e umane a disposizione.

Il Sindaco ha avviato il progetto ambizioso di concedere in comodato d’uso gratuito parte del patrimonio comunale ai giovani. Cosa ne pensi?

Ci sono delle grandi mancanze di spazi aggregativi in città, cosa di cui sento la mancanza come giovane, ma anche riflettendo su storie tragiche come la mia e quella dei famigliari delle vittime. Ad esempio quando hanno ucciso Pasquale Romano, la prima riflessione che ho fatto è stata pensare ai ragazzi come quello che l’ha assassinato. Per i ragazzi che crescono sui motorini, fanno parte delle bande, solo quando ci sarà nel loro quartiere un campetto di calcio, un centro di aggregazione e di formazione si andrà a modificare la realtà che produce certi crimini e ci potrà essere un futuro diverso.
C’è una grande intesa con l’assessore Carmine Piscopo rispetto all’idea che i vecchi edifici diventino spazi per le giovani idee: vogliamo organizzare i luoghi di questa città in modo che il miglioramento della condizione giovanile passi attraverso il miglioramento degli spazi destinati ai ragazzi della città. Tra le sue deleghe provo particolare interesse verso quella ai laboratori urbani, ai processi di trasformazione e gestione partecipata delle aree negate, ai beni confiscati e alle proprietà collettive democratiche.

Con quali altri assessorati ti troverai maggiormente a collaborare?

Sicuramente con l’assessore Tommasielli che già mi ha messo in condizione di apprendere quanto di bello e significativo è stato portato avanti nell’ultimo anno. E poi sicuramente con l’assessore Di Nocera, cultura, perché lei ha già portato avanti iniziative importanti in cui il protagonismo giovanile darà il suo apporto importante. Non da ultimo gli assessori Esposito e Panini, per tendere ogni intervento, anche i più artistici e creativi, a prospettive di occupazione, commercio, formazione professionale.

Il tuo assessorato è anche alla creatività. Credi che ci sia modo di valorizzare la propria creatività a Napoli?

Ci sono dei talenti napoletani, a Napoli, ma sparsi anche in Italia, in Europa e nel mondo. Spesso le condizioni di partenza di disagio hanno fatto venir fuori delle grandi qualità, come dei pesci che sott’acqua hanno sviluppato le branchie per respirare. E quindi noi dobbiamo sicuramente prendere dall’Europa ed oltre Oceano delle idee innovative, ma noi siamo i primi che abbiamo tutte le carte in regola per essere un centro di sviluppo di nuove idee. Siamo immaginifici. C’è Vincenzo Schioppa, un ragazzo che con il brend “Naples street style”, comunica all’Italia, all’Europa e non solo, un’immagine di Napoli all’avanguardia per quanto riguarda la moda e il mondo che ci gira intorno e dietro c’è un ragazzo che ama tantissimo la sua città e proprio attraverso l’handing arownd, il processo con il quale la sociologia spiega l’affermarsi delle nuove generazioni, quello di trovarsi da soli degli appigli, gli strumenti per fare, avendo fiducia, investendo su se stessi, non stando fermi, aspettando che qualcuno ci dia le cose, ma costruendoci da soli i nostri spazi e le nostre occasioni, ha trovato terra per il suo fermento.
Ci sono ragazzi che con la loro creatività e il loro talento hanno saputo volare. Se non ci sono tante risorse economiche, una buona idea non ha nessun costo e ci sono tanti talenti da valorizzare.
Noi vogliamo “prendere” questa creatività proprio a partire dalle associazioni giovanili, dai gruppi informali, dai ragazzi, perché qualsiasi politica di sostegno e aiuto ad una categoria è inefficace se non coinvolgi attivamente i destinatari. Anche attraverso nuove forme di comunicazione.

Di fatti un altro progetto cui sono molto legata è Radio Legalità attraverso Radio Siani. Con le web radio si possono trovare forme di comunicazione, anche musicali, più dinamiche e interattive che possono far passare il messaggio che occuparsi di ciò che è giusto, legale e bello non è qualcosa per gli addetti ai lavori, ma qualcosa di pervasivo  che coinvolge tutti attraverso la moda, le radio, le televisioni. E poi attraverso gli strumenti della cooperazione sociale, nata come un modo etico di fare impresa, ma che oggi può diventare un modo per la nuove generazioni di fare impresa con la “I” maiuscola, in modo innovativo socialmente ed economicamente sostenibile.

Sei presidente dell’associazione Silvia Ruotolo. Puoi raccontarci i progetti che hai realizzato attraverso di essa? 

La Fondazione è stato il coronamento di un percorso partito con l’incontro con una Napoli che ti deve chiedere scusa, e poi con l’altra Napoli, quella che si prende cura degli altri e che è molto generosa. Questo aspetto è meraviglioso. Noi, come famiglia, abbiamo incontrato tante realtà di questo tipo: Libera, la giustizia e la magistratura giudiziaria, ma anche civile, la memoria dei familiari delle vittime. La Fondazione Silvia Ruotolo è nata nel 2011 a seguito del risarcimento economico dello Stato: abbiamo deciso che con quel denaro, che era la risposta dello Stato a una sua mancanza, l’unica cosa che potessimo fare, che assomigliasse a mia madre, era dare un senso alla sua morte senza senso perché ingiusta. L’idea è stata quella di lavorare per creare le condizioni di cambiamento per i ragazzi di questa città legati alla camorra elaborando percorsi a partire dal concetto: “tutto ciò che libera, tutto ciò che unisce”. Con la Fondazione ci siamo inseriti in realtà con cui collaboravamo in modo informale già da anni, quali Libera, Marano Ragazzi Spot Festival e l’Istituto di penale minorile di Nisida. Con loro abbiamo dato via a progetti che hanno voluto valorizzare l’incontro tra le diversità dei cittadini giovani di questa città: studenti con detenuti, ragazzi responsabili di reato con ragazzi che hanno subito dei reati; penso agli incontri di figli di vittime innocenti di camorra come me o Veronica Montanino, con ragazzi che sono cresciuti in un clima di camorra.

A questo proposito hai un legame speciale con i ragazzi di Nisida…

Si, sono stata spesso a Nisida per incontrare e realizzare progetti con i ragazzi. Fino a tre giorni fa ero solo una cittadina e abbiamo presentato un progetto all’Unione Europea che ha messo insieme varie realtà sociali della città e prevede un percorso formativo sulle tematiche della cittadinanza attiva e sulla professione filmaker da fare insieme, con il metodo della pear education, e l’integrazione tra le diversità; parteciperanno 45 ragazzi del Centro Giustizia Minorile, dell’Istituto Bernini e del De Nicola. I ragazzi realizzeranno un tirocinio pagato in una cooperativa sociale sulla quale produrranno un documentario che sarà presentato nella rete dei festival Europei collegati a queste tematiche. Ma è una proposta progettuale e ci auguriamo che il Ministero l’approvi. Non posso prescindere da questo tipo di percorsi ed è questa esperienza di cui mi voglio avvalere nel mio assessorato.
Ecco che anche nel nuovo ruolo, mi auguro di mettere in moto delle iniziative e delle politiche che facciano incontrare le diverse condizioni giovanili della città sui punti in comune: negli aspetti di disagio comuni come negli aspetti dei diritti comuni, convinta che l’incontro tra le diversità crei un incontro tra dignità. Sempre avendo bene in mente che tutti devono essere cittadini protagonisti della città e non ospiti.
Sempre rispetto a Nisida c’è un progetto che ho a cuore e sto portando avanti insieme con il garante dei diritti dei detenuti Adriana Tocco di prenderci cura dei ragazzi usciti dal carcere creando una casa di accoglienza a Napoli. Di fatto i ragazzi su cui lo Stato ha investito rieducandoli, attraverso percorsi trattamentali, nel momento in cui vengono fuori dal carcere non possono essere lasciati soli. Proseguirò questo impegno attraverso l’assessorato.

Dunque credi che anche per un bambino nato in un contesto criminale sia possibile cambiare?

Certo, la storia dimostra che ci sono rivoluzioni e cambiamenti. Tutti i ragazzi che ho incontrato che venivano da percorsi tremendi, di negazione della condizione di essere fanciullo e dei diritti dell’infanzia, che andrebbero assolutamente garantiti, quando gli sono stati dati gli strumenti si sono rimboccati le maniche e si sono messi a lavorare. Come alcuni ragazzi di Nisida che hanno seguito un laboratorio teatrale e  hanno saputo dire “Mi batte più il cuore recitando sul palco che facendo una rapina”. Ma non è con bacchetta magica che si trova una soluzione.

Purtroppo i dati del resoconto dell’anno giudiziario non sono rassicuranti. Nonostante i riflettori dei media e delle forze dell’ordine Scampia ha ancora un alto tasso di reati…

La situazione di crisi colpisce tutte le famiglie di questa città. Perché se anche un ragazzo dopo la laurea con strumenti professionali e culturali ha difficoltà nell’accesso del mondo del lavoro, allora cos’è che permetterà al ragazzo con la pistola di cambiare strada? Bisogna lavorare molto sui valori, diffondendo modelli diversi e valorizzando gli strumenti a disposizione.

In territori periferici come Scampia o Barra dove ci sono associazioni volenterose che da anni lavorano con i bambini e i ragazzi che denunciano la mancanza di fondi e talvolta di sedi per lavorare…

Ci sono dei territori dove è anche una condizione di sicurezza dare a chi lavora con i ragazzi dei luoghi e un’attenzione particolare. Ma proprio perché le associazioni sono tante e i fondi limitati bisogna attrezzarsi, ci devono essere bandi, regolamenti seri e bisogna mettere tutti nelle condizioni di avere uno spazio pubblico. Perché può essere più nota una esperienza piuttosto che un’altra, mentre tutte le esperienze devono essere messe in condizione di concorrere alla pari. Se nel criterio di un bando c’è che un particolare legame territoriale vale più punti rispetto a quello di avere meno esperienza, è ragionevole che chi lavora da anni su un territorio possa avere il suo bene. Perciò partire dal censimento dei gruppi informali significa conoscere tutte le realtà presenti sul territorio ed intercettarle così che abbiano un medesimo accesso all’informazione sui bandi e i progetti. Voglio dare ascolto ai giovani per poi trovare strumenti seri per sostenerli. Di fatti è mia intenzione creare un portale in cui le associazioni possano iscriversi, parlando dei loro problemi e cercare insieme ai territori delle risposte. Nessuno deve risultare escluso.

Come valuti le politiche giovanili nazionali?

Le politiche giovanili nascono negli anni ’70 nel Comune di Torino, primo in Italia ad elaborare un “Progetto giovani” rivolto alla fascia di età 14 - 29 anni come politiche per emergere da condizioni di disagio, quali le tossico dipendenze e le devianze. Nel tempo poi da politiche di contenimento del disagio, sono divenute sempre più politiche di promozione dell’ agio e questo significa che una condizione di disagio per i giovani anche al di fuori delle devianze e tossicodipendenze si è cronizzata e generalizzata: l’esigenza del ricambio generazionale a tutti i livelli, al lavoro, al credito, alla casa, alla possibilità di formarsi una famiglia. Penso poi alla mia città che si deve confrontare con il contributo di vite umane giovanissime sulle quali pesa il sistema criminale, della mancanza di lavoro, ma anche di vite umane spezzate, dei ragazzi di 18 e 20 anni di Ponticelli morti. Questo ci obbliga ad uno straordinario sforzo in più.
Oggi secondo le prospettive assunte dall ‘Unione Europea con la “Strategia di Lisbona” e con il “Patto pe la Gioventù” le azioni di governo rivolte ai giovani si qualificano chiaramente come politiche di investimento, di sviluppo, di crescita della conoscenza e dell’innovazione. Sono dunque diventate politiche giovanili con la “P” maiuscola che non hanno nulla di meno delle politiche europee.

Alessandra del Giudice

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