Rom, dalla Calabria una storia di integrazione

A Melito di Porto Salvo appartamenti al posto del campo. Il racconto del sindaco.

gesualdo-costantinoAppartamenti al centro al posto di roulotte e baracche, un progetto per creare un sito di stoccaggio per una raccolta regolare di ferro e rame, a Melito di Porto Salvo si sperimenta un modello inedito di integrazione. Dopo le tensioni delle scorse settimane per il campo rom di Lago Patria, abbiamo chiesto al sindaco Gesualdo Costantino di raccontare l’esperienza avviata nel suo piccolo comune in provincia di Reggio Calabria: "Intollerabile che continuassero a vivere in quelle condizioni”.

“Il nostro è un piccolo comune di 12 mila abitanti, e i rom convivono con noi da moltissimo tempo, si sono stabiliti nel campo più di 50 anni fa. Le condizioni in cui versava quell’insediamento erano ormai diventate intollerabili, era una sofferenza vedere delle persone vivere circondate da rifiuti in baracche fatiscenti con tetti di eternit e senza servizi igienici. Da qualche giorno finalmente le 34 famiglie che lo abitavano si sono trasferite in appartamenti dignitosi”.

Quando è stato avviato il progetto e come è stato possibile realizzarlo?

“ Anni fa abbiamo ottenuto un finanziamento dalla Regione Calabria di cinquecentomila euro per la bonifica e la risistemazione del campo. La giunta dell’epoca aveva intenzione di impiegare quei soldi per costruire una palazzina e trasferirli lì. Opera Nomadi intervenne e chiese un tavolo di discussione per evitare di replicare modelli abitativi ghettizzanti. Così il comune ha avviato con i rom e le associazioni un percorso di scambio e progettazione alla ricerca di una diversa soluzione. Quella degli appartamenti, distribuiti su tutto il territorio cittadino, è stata riconosciuta da tutti come la migliore, e negli ultimi cinque mesi sono state fatte le assegnazioni. Per quanto possibile abbiamo cercato sistemazioni che fossero quanto più vicine al centro del paese”.  

La scelta non ha provocato resistenze?

All’inizio è stato difficile. I vicini degli appartamenti che erano stati individuati per i rom in molti casi si sono opposti. E’stata necessaria un’opera di mediazione per superare resistenze e timori. Una scelta forse impopolare, ma necessaria, che noi riteniamo alla lunga vincente”.

E come si è sviluppata la collaborazione con i rom?

“Anche da parte loro c’è stata una diffidenza iniziale molto forte. Fondamentale è stato l’aiuto dei mediatori. Poi, negli ultimi giorni è stato importantissimo l’atteggiamento delle forze dell’ordine che hanno dovuto provvedere allo sgombero: per quanto fosse un posto indegno è pur sempre stata la loro casa per decenni. Abbiamo concesso tutto il tempo necessario per il trasloco, perché recuperassero le loro cose con calma. Solo una famiglia non voleva saperne di spostarsi, ma alla fine siamo riusciti a rassicurali e convincerli. Alcuni rom ci hanno aiutato persino nelle operazioni di bonifica dei terreni”.

Di che vivono i rom di Melito?

“La maggior parte è in una condizione lavorativa che dire precaria è un eufemismo. L’attività prevalente è la raccolta e la trasformazione di ferro e rame, che però svolgono senza le necessarie autorizzazioni e quindi in modo illegale. Stiamo anche da questo punto di vista a una soluzione: avevamo ottenuto un finanziamento di 2 milioni di euro dal Pon sicurezza per realizzare un sito di stoccaggio in un bene confiscato alla mafia nel quale potessero lavorare alla trasformazione dei metalli in modo regolare”.

Quindi non se ne farà nulla?

“Assolutamente no. Stiamo lavorando a creare un consorzio con i rom per regolamentare la loro posizione. Cercheremo un nuovo sito e nuove forme di finanziamento, ma si farà”.

Luca Romano

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