“Alias”, ovvero “ho diritto all'uguaglianza qualunque sia il mio genere”

Universita Federico IINon è Middlesex, il romanzo dello scrittore statunitense Jeffrey Eugenides che ha vinto il Pulitzer per la narrativa nel 2003, ma è realtà: nascere e ricominciare la propria vita trovando la propria dimensione e collocazione nel mondo e nei generi, senza però perdere del tutto le tracce della precedente vita, a Napoli è possibile e con un percorso meno travagliato di quello di Callie/Cal. Si chiama “Alias”.

Tra Aprile e Luglio 2012, la Fundamental Rights Agency dell’Unione Europea ha lanciato una survey europea per comprendere i livelli di omofobia e transfobia in Europa: il campione esaminato è molto ampio, parliamo di ben 93.079 persone LGBT che hanno partecipato allo studio. E quasi la metà dei partecipanti, il 47%,  ha dichiarato di aver subito discriminazioni ed abusi basati sul proprio orientamento sessuale e/o sulla propria identità o espressione di genere l’anno precedente la raccolta dei dati. La maggioranza dei partecipanti che è stata vittimizzata nell’ultimo anno ha dichiarato che la violenza subita è avvenuta a causa della percezione dell’abusante dell’identità LGBT (59%) e la maggioranza dei partecipanti non ha denunciato la violenza alle autorità competenti perché ha creduto che nulla sarebbe potuto cambiare. Ma sono altri due i dati preoccupanti: il 20% ha subito discriminazioni sul posto di lavoro o quando ha tentato di trovare un lavoro e il 18% del campione ha subito discriminazione in ambito scolastico o universitario. Parliamo, cioè, di luoghi in cui l'informazione e le pari opportunità dovrebbero essere sancite dal principio. È anche per considerazioni di questo tipo che è apprezzabile l'iniziativa portata avanti dal professor Paolo Valerio, direttore del servizio Antidiscriminazione e Cultura delle Differenze del Centro “Servizi per l’Inclusione Attiva e partecipata degli studenti” - SinAPSi  dell'Università Federico II e pienamente abbracciata anche dal rettore Gaetano Manfredi. Si chiama “Alias” e offre un supporto, o meglio, una possibilità a tutti gli studenti transgender, una fetta di popolazione che può trovarsi ad affrontare vari problemi e discriminazioni proprio a causa della percezione di una non conformità di genere.

Per gli studenti in transizione di genere, infatti, l'Università degli Studi di Napoli Federico II offre una strada più semplice. Se già a partire dal 2010 è possibile richiedere un libretto universitario temporaneo in cui è riportato il nome che più corrisponde al genere percepito, anche se non hanno ancora effettuato alcun intervento chirurgico di cambio del sesso, oggi, con una carriera  universitaria "Alias" che prevede l’assegnazione di un’identità provvisoria, "transitoria e non consolidabile", si potrà aiutare le persone a vivere il proprio ambiente di studio in maniera più serena, riducendo le discriminazioni e tutelando la propria privacy. Non dover spiegare, anzi, giustificare, il proprio cambiamento di nome e di aspetto, non vedersi mortificati in sede d'esame o di richiesta di un documento sono solo alcune delle migliorie che questo servizio comporta: c'è anche e soprattutto, infatti, un approccio politico e democratico alla base, quello di voler dismettere paure e disinformazione. Nella nostra società, infatti, nonostante i movimenti e le realtà attive, l'idea che una persona transgender,  - soprattutto nel caso di MtF o M2F (sigla dell'inglese Male to Female) e cioè di un individuo che effettua una transizione con il suo corpo da maschio a femmina –  non abbia altra scelta che la prostituzione, o che ci sia un disturbo di natura mentale alla base della transizione non è completamente vinta e questo avviene anche e soprattutto per scarsa conoscenza di un territorio in cui le persone trans studiano e lavorano come tante altre. Lo stigma istituzionale, ovvero quella serie di condizioni, norme culturali e politiche istituzionali che limitano le opportunità, le risorse ed il benessere delle persone stigmatizzate, finisce poi per complicare le cose. Ad esempio, il fatto stesso che oggi, in Italia, non esistano ancora leggi sui crimini d’odio basati sull’omofobia e/o sulla transfobia o che non vi sia una legge sulle unioni civili o sui matrimoni, che la legge 164 del 1982, nonostante alcune attuali proposte di modifiche e alcune forti decisioni prese proprio sul nostro territorio, presenti ancora forti limitazioni come l'impossibilità di modifica del nome senza interventi ai genitali e lo scioglimento di un eventuale matrimonio preesistente. Possiamo dire che lo Stato non garantisce a pieno i diritti umani fondamentali alle persone LGBT?

Paolo Valerio che è anche professore di Psicologia Clinica del Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Clinica e Psicoanalisi Applicata e Presidente dell’ONIG, Osservatorio Nazionale sull'Identità di Genere, spiega che ridurre le discriminazioni e le differenze è qualcosa che si può fare, anche partendo da un'opera di sensibilizzazione e uguaglianza a cominciare dal territorio. Sono tante le attività, infatti, che insieme ad “Alias” propongono informazione e supporto per i giovani LGBT . Come quella del sito www.bullismoomofobico.it  che  rivolto a ragazzi, genitori, personale scolastico e a quanti avvertono il bisogno non solo di documentarsi sulle diverse questioni relative al genere ed all'orientamento sessuale, ma anche di ricevere uno spazio di tutoraggio e di consulenza psicologica on-line e vis-à-vis, opera dal 2009. O quella dello sportello di ascolto e consulenza LGBT del Progetto Napoli Divercity che offre accoglienza, consulenza psicologica e legale gratuita da parte di un team di esperti ed operatori con chiara esperienza sul campo. Proprio in questo ambito, un appuntamento previsto per il 24 febbraio a Palazzo San Giacomo propone una giornata di incontro e riflessione sulla rete necessaria per imparare a riconoscere le differenze garantendo pari opportunità delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali. “I napoletani si sono dimostrati sempre molto aperti forse perché sanno bene cosa vogliono dire pregiudizi e stereotipi”, spiega ancora Valerio e per quanto la carriera “Alias” non preveda tra le possibilità quella di laurearsi con il nome che più corrisponde al genere percepito se non c'è stata prima la modifica a livello istituzionale, il professore si dice già sicuro che una persona transgender potrà avere, al completamento del suo percorso di transizione, un attestato che tiene conto non solo della sua preparazione studentesca ma anche della sua storia personale.

Raffaella R. Ferrè

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