White Jobs: possibilità di lavoro e prospettive in crescita. Anche in Campania?

wjUno studio di “Italia Lavoro” dice che sono aumentati e aumenteranno ancora i posti di lavoro nei servizi sanitari, sociali e di cura volti a garantire la salute e il benessere delle persone. Ma nella nostra regione, dove l’ammontare delle risorse per la spesa sociale porta dubbi su un effettivo investimento, è davvero possibile?

Una volta c’erano le tute blu e i colletti bianchi. Oggi il mercato del lavoro ha molti più colori cui attingere, un arcobaleno di incognite che differenzia gli ambiti occupazionali, i settori in crescita e quelli ormai saturi. Tra loro ci sono i “white jobs”, ambito che accoglie, al di là delle diverse professionalità, coloro che lavorano nei  servizi sanitari, sociali e alla persona, ovvero tutti quelli che fanno della salute e del benessere degli altri la propria missione professionale. E uno studio dice che sono in aumento, e cresceranno ancora. I dati elaborati da Italia Lavoro mostrano infatti il peso sempre più importante di questo settore nel   mercato del lavoro italiano: ad oggi occupa oltre 2 milioni e mezzo di persone, l’11% del totale dei lavoratori. I tre quarti di questo ambito sono donne e nella stragrande maggioranza si tratta di un lavoro stabile, ovvero il 91,2%  ha un contratto a tempo indeterminato, cinque punti percentuali in più rispetto a quella del totale degli occupati in tutti gli altri settori. Un numero positivissimo, insomma,  quando il Rapporto Giovani 2014 già anticipa, anche per il 2015, il perdurare della crisi economica e occupazionale soprattutto al Sud.  Ma c’è di più: nel 2020 questo settore potrebbe arrivare a circa 3 milioni di occupati. Il dato e la previsione non stupiscano: ai “white jobs” dobbiamo oggi la produzione di 98 miliardi di valore aggiunto, pari al 7% del prodotto complessivo del Paese.

Come mai? "L'aumento -si legge nel Rapporto-  è legato all'invecchiamento della popolazione che genera una domanda crescente di servizi sanitari, sociali e personali, e alla maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, che determina la necessità di acquistare i servizi sostitutivi del lavoro domestico".

La situazione in Campania

In Campania, per quanto riguarda la spesa sociale, nel 2015 sono stati previsti 124 milioni di euro, comprensivi dei trasferimenti del Governo. Queste risorse hanno fatto nascere dei dubbi su un’oggettiva stima del fabbisogno, così come resta un’incognita la possibilità di un investimento ragionato nel sociale che porti non solo ad una gestione programmata non riconducibile a misure straordinarie come possono essere i bonus ma anche alla creazione di posti di lavoro.

Lo studio di Italia Lavoro dice che a rendere la situazione ancora stabile nonostante dati come questi è la presenza dei migranti sul nostro territorio che riesce ancora a contenere la riduzione della popolazione in età lavorativa: in futuro, però, gli effetti saranno sempre più sbilanciati tra Centro-Nord e le regioni del Mezzogiorno.  In ogni caso, oggi  la quota di “white jobs” sul totale degli occupati in Campania è del 9,4%: siamo cioè al 15° posto (le quote più alte sono di Sardegna e Lazio) ma allo stesso tempo la nostra regione viene subito dopo le cinque regioni del Centro-Nord (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto) che da sole producono il  54% in termini di valore aggiunto nei settori dei servizi sanitari, sociali e alla persona. Dato interessante è anche quello che riguarda i volontari che hanno prestato la loro opera gratuitamente nei settori della sanità e dell’assistenza sociale: nel 2011 erano complessivamente 956 mila e di questi il 20,6% risiedeva nel Mezzogiorno, facendo registrare un aumento di quasi 2 punti percentuali.

Le prospettive occupazionali

In prospettiva e su carta, le motivazioni e le capacità per investire e avere buoni risultati nei “white jobs” ci sono anche sul nostro territorio, tenendo conto anche delle dichiarazioni di Paolo Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro che spiega che “diversamente da quanto si registra negli altri settori economici, la modesta dimensione delle aziende che operano nei settori della sanità e dell’assistenza sociale (escluse le istituzioni pubbliche e non profit) non impedisce alti livelli di produttività e d’investimenti. Quasi la metà degli addetti lavora presso istituzioni pubbliche, tuttavia questa quota si è ridotta notevolmente, mentre sono aumentate le percentuali delle imprese private e delle istituzioni non profit". Ma come si potrebbe agire in Campania per far ripartire il mercato del lavoro e soprattutto il settore sociale?  Una prima opportunità da cogliere al volo ci sarebbe già:  è l’integrazione tra pubblico e privato sociale, ovvero l’Asl e il Terzo Settore che lavorano assieme, nell’ottica di abbassare i costi dei servizi e avere un’efficacia sociale più ampia e forte (leggi l'approfondimento).  Secondo Luca Sorrentino, responsabile Legacoopsociali Campania bisogna tenere conto anche di altri fattori: “Le risorse economiche destinate a chi lavora nel settore sociale sono così poche che i redditi sono bassi. È vero che i “white jobs” potrebbero rappresentare un ambito forte e in crescita nell’ottica di un welfare allargato, ma  il primo passo da fare sarebbe quello di una riorganizzazione del settore, dal punto di vista culturale: è l’idea di rinunciare a una parte dei profitti per reinvestirli in servizi per chi vi lavora.  Se parto dal bisogno, l’ipotesi è attuabile, ma se parto dall’esistente e resto legato a dati economici non è per nulla semplice. In un territorio in cui il pubblico non ha sempre questa cultura e il privato non è sempre illuminato, chi investe? Una terza strada c’è ed è la solidarietà, ma la solidarietà fa a pugni con i diritti”.

C’è da dire, infine, che nel rapporto di Italia Lavoro è presentata anche una proposta operativa: l’istituzione di un voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia promossa dall’Istituto Luigi Sturzo che s’ispira al modello francese dei CESU ( il testo integrale del provvedimento presentato al Senato). Il Censis ha sviluppato un modello per stimare l’impatto economico e sull’occupazione della proposta di legge e, per quanto il rapporto sia in corso di pubblicazione, è già noto che il sistema a regime avrebbe un costo di circa 3,6 miliardi di euro, che si riduce a 1,9 miliardi tenuto conto dei benefici diretti e a 700 mila euro se si considerano anche quelli indiretti.  Dopo cinque anni la platea di famiglie in grado di accedere ai servizi socio-assistenziali crescerebbe di 482 mila, in coerenza con gli accresciuti bisogni di assistenza connessi con l’invecchiamento della popolazione. I lavoratori beneficiari del welfare aziendale salirebbero da 127 mila a 858 mila, con enormi vantaggi sia per i dipendenti che per la produttività aziendale. La ricerca stima inoltre che l’emersione del lavoro irregolare nel periodo di messa a regime raggiungerebbe le 326 mila unità, mentre l’occupazione aggiuntiva è valutabile in 315 mila nuovi occupati fra diretti (assistenza domiciliare) e indiretti (settori collegati).

Per leggere l’intero studio di Italia Lavoro: http://www.italialavoro.it/wps/wcm/connect/c260e10d-1c86-4b33-a663-fdad42622fa3/White-Jobs12-bis.pdf?MOD=AJPERES

Raffaella R. Ferrè

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