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venerdì 19 Aprile 2024




Minori stranieri tra formazione e lavoro

Napoli città solidale, necessario monitoraggio sui percorsi  

minori-non-accompagnatiI minori stranieri non accompagnati vivono nella perenne contraddizione tra la necessità di essere “grandi” per costruirsi il futuro in un paese straniero e la necessità di essere “piccoli” e veder riconosciuti il proprio diritto all’infanzia.

A Napoli sono 124. Il Comune di Napoli, Italia Lavoro e le realtà locali che si occupano di migrazioni, hanno fatto il punto della situazione sul tema dell’accoglienza in città.

Questa mattina, 2 giugno 2014, nella Sala Giunta del Comune di Napoli si è tenuto l’incontro “Minori Stranieri tra Formazione e lavoro” per discutere delle opportunità di formazione e di lavoro di cui possono beneficiare i minori stranieri non accompagnati.
L’incontro rientra nell’ambito del progetto “Programmazione e gestione delle politiche migratorie” realizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con Italia Lavoro e le diverse realtà istituzionali e associative locali, come azione di sistema che si pone l’obiettivo di rafforzare la cooperazione interistituzionale e migliorare la programmazione delle politiche migratorie, del lavoro e dell’integrazione a livello centrale e territoriale.

A Napoli nel 2012 si registra l’arrivo di circa 300 minori non accompagnati, di età compresa tra i 15 e i 17 anni. Quelli presi in carico dal Servizio Minori del Comune di Napoli sono 123, di cui 10 femmine. Nel 2013 i minori presi in carico sono 206, di cui 11 donne; al 1 aprile 2014 i minori presi in carico sono 124.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, nel 2011 c’è stato un vero e proprio boom della presenza dei ragazzi minorenni e stranieri in Italia: sono state 7.484 le segnalazioni al Comitato minori stranieri fino a novembre 2011, di cui 4297 ingressi dal Nord Africa dal primo gennaio. In netto aumento rispetto agli anni precedenti. Oltre la metà dei minori accolti ha 17 anni, e arriva da Afghanistan, Bangladesh, Albania, Egitto, Marocco e Kosovo, per ritrovarsi (quasi il 56%) soprattutto nel Lazio e a Roma (che ospita il 92% dei minori non accompagnati della regione), in Emilia, in Lombardia e in Puglia (nei capoluoghi di provincia). (Stime su elaborazione della cooperativa sociale Dedalus, che prende in considerazione come fonti, oltre a quelle del proprio centro studi: il Comitato Minori Stranieri (CMS); l’ANCI; il Comune di Napoli (con i dati del Servizio Politiche per i Minori l’Infanzia e l’Adolescenza).

“L’emergenza del 2011 ci deve insegnare che dobbiamo essere preparati ad accogliere quanti fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni e rischiano di morire in mare- ha raccontato il sindaco Luigi De Magistris aprendo la discussione-, per questo sono in accordo con gli altri paesi del Mediterraneo che vogliono realizzare un piano di accoglienza.
Tutti dovrebbero visitare un CPT, Centro di permanenza temporanea, si tratta di vere e proprie carceri. Io ho visitato quello di Crotone e ho visto le condizioni di vita di persone che non avevano commesso alcun delitto. Eppure la legge italiana permette a queste persone di restare in Italia solo se hanno un lavoro contrattualizzato; un paradosso visto che se sono recluse non hanno l’opportunità di cercare lavoro e ci troviamo in un paese dove la disoccupazione è al 46% e dove probabilmente molti italiani lavorano a nero.
Napoli è una città solidale, in 3 anni non ho assistito a nessun episodio eclatante di razzismo. Molto abbiamo fatto per i minori, come i bambini rom e ancora con la delibera per dare la cittadinanza ai bambini nati in città da genitori stranieri e continuiamo ad appoggiare la battaglia per lo Ius soli. Visto che abbiamo pochi soldi, possiamo sostenere l’inclusione, dando spazi pubblici a chiunque voglia realizzare seriamente e professionalmente luoghi per accogliere bambini, donne, migranti”.

I minori stranieri non accompagnati sono adolescenti e ragazzi in perenne contraddizione tra la necessità di essere “grandi”, per affrontare la strada, con le sue situazioni di precarietà e con dinamiche da “grandi”, e la voglia di essere “piccoli” per poter veder riconosciute, come diritto, le proprie esigenze di socialità, di affetto, di “coccole” e di gioco.

Per legge, ogni comune d’Italia ha l’obbligo di farsi carico dei bisogni dei minori abbandonati sul proprio territorio: scatta così un complesso meccanismo di protezione sociale. I minori sono inviati alle comunità di accoglienza del territorio e, allo stesso tempo, si attiva la presa in carico integrata tra servizi sociali comunali, associazioni e cooperative con mediatori culturali. Tuttavia i ragazzi continuano a fuggire. I minori spesso si allontanano dai centri di accoglienza perché hanno paura che, a diciotto anni, per legge, siano costretti ad abbandonare l’Italia.
“Se da un lato la normativa nazionale ed internazionale di tutela del minore - spiega Lassad Azabi, mediatore della Cooperativa Sociale Dedalus-, stabilisce una serie di interventi finalizzati a percorsi di protezione sociale, la stessa normativa diviene discriminante, una volta che il giovane ha raggiunto la maggiore età. Secondo la Bossi-Fini, infatti, al compimento del 18esimo anno, i ragazzi possono avere il permesso di soggiorno solo se sono in Italia da almeno 3 anni, due dei quali trascorsi in progetti di reinserimento sociale e lavorativo, ma la maggior parte di loro arriva sul nostro territorio quando è già quasi maggiorenne. La legge non prevede molte cose per questi ragazzi: per potersi iscrivere ai servizi sanitari e godere di tutti i diritti di cittadino ci vuole sempre il permesso di soggiorno. Ed è molto difficile trovare un lavoro stabile per avere le carte in regola per restare. La priorità è quella di realizzare percorsi di inserimento lavorativo, ma poiché i fondi non ci sono o arrivano in ritardo, il lavoro svolto da alcune case famiglia è puramente assistenziale. In alcuni casi anzi, si rifiuta la presenza di un mediatore che vigili sulla gestione dei progetti per evitare controlli istituzionali. Se da un lato gli enormi tagli nei fondi e dunque i ritardi nei pagamenti delle case famiglia portano alcune di esse ad una gestione discutibile, dall’altro non c’è un adeguato monitoraggio da parte delle istituzioni. Tutto ciò a discapito del minore”.

Ed è proprio nel senso di un incremento delle verifiche e dei controlli che vuole andare il Comune di Napoli: “L’ottimismo della ragione e del cuore ci porta ad impegnarci sempre di più per i minori -ha chiarito Roberta Gaeta Assessore al Welfare del Comune di Napoli-, che si trovano in grande difficoltà. Vogliamo assicurare il diritto al minore di andare a scuola, usufruire del servizio sanitario e del diritto all’inserimento lavorativo. Non ci si può limitare alla mera accoglienza residenziale, ma sono necessari dei percorsi e una progettazione in vista del futuro dei ragazzi e infine di monitorare la realizzazione di questi progetti. In mancanza di risorse, visto che nel momento di crisi in cui ci troviamo il Governo ha tagliato proprio sulle spese sociali, per rispondere ai bisogni ed ai percorsi di inserimento dei minore straniero non accompagnato è necessario attivare ancora di più le reti territoriali tra istituzioni e realtà sociali”.

Il Comune di Napoli ha favorito, negli anni, la messa in rete di servizi con le diverse agenzie territoriali, quali ad esempio: cooperative e associazioni, comuni e servizi sociali territoriali, Asl, ospedali, questure, tribunali per Minorenni, giudici tutelari del tribunale ordinario, CGM, comunità di accoglienza, scuole, strutture sportive. “In particolare abbiamo promosso dei tavoli tematici e progetti dedicati specificamente ai migranti come “I fratelli di Iqbal”e Centro Interculturale Nanà dedicati ai minori non accompagnati, “Accogliere le differenze”  gestiti dalla Cooperativa Sociale Dedalus, e ancora ha reso possibile l’apertura del centro di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo gestito dalla Less Onlus”, ha spiegato Giulietta Chieffo, direttore Centrale Politiche di Welfare, servizio minori del Comune di Napoli. L’ultimo impegno è quello di aver stilato un protocollo d’intesa con le forze dell’ordine, Less Onlus e Dedalus per accertare l’età del minore non accompagnato in presenza di un mediatore culturale.

Attualmente infatti viene usato il metodo della radiografia, che oltre ad avere un margine di errore di 2 anni, prevede un approccio al ragazzo scorretto, per questo il Comune di Napoli ha stilato. “I minori che arrivano non parlano la nostra lingua e sono spaventati- spiega Azabi-, intanto per la legge, un anno può fare la differenza tra essere accolto o essere rispedito al paese d’origine e non si può utilizzare dei mezzi imprecisi sbagliando o traumatizzando il minore. Inoltre la radiografia in caso di una ragazza incinta può essere pericolosa per la salute del bambino. In particolare in casi di giustizia penale, andare nel carcere per adulti è un’esperienza così dura che può pregiudicare per sempre il futuro del minore. Per questo il protocollo stabilisce la presenza di un mediatore culturale nel momento in cui la polizia deve certificare l’età”.

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