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Giovedì 25 Aprile 2024




I rom di Giugliano: “Basta trattarci da immondizia”

Tra discariche e  fumi nauseabondi la vita di quattrocento persone.

campo-rom-lago-patriaVedi bambini correre scalzi con le dita a turarsi il naso e pensi al mare, ai tuffi, ma quel gesto così familiare e festoso qui, nel campo rom di Giugliano, significa tutt’altro. Dell’estate c’è solo il caldo asfissiante. “Area no buona”, “Area no buona”, ripetono in coro. Provano a proteggersi dalla puzza acre e pungente della discarica nella quale il comune ha deciso che devono vivere. E’ una denuncia impotente, disarmante nella tenerezza con cui è manifestata. Sorridono, invitano al gioco, e poi all’improvviso tornano a ripetere “Area no buona”. Nessuno li ascolta.

Da quattro mesi ormai i rom protestano per l’invivibilità del campo in cui l’amministrazione comunale ha deciso di confinarli. Una piattaforma di ghiaia circondata da un recinto di lamiere nel cuore di un’area simbolo del disastro ambientale in Campania: sei discariche in cui sono finiti negli anni rifiuti speciali, tossici e nocivi. Un sito giudicato d’interesse nazionale per una bonifica che resta solo sulla carta, mentre dal terreno  continuano a fuoriuscire fumi nauseabondi.

“Ci stanno avvelenando, devono trovare un altro posto per noi”, dice una giovane madre. “Meglio stare in pace qui”, sostengono altri. Il fronte degli adulti non è unito, spiegano i rappresentanti della comunità. Lo scontro è tra chi teme una nuova diaspora con proteste e minacce di abitanti che non ne vorranno sapere di avere dei rom come vicini e chi ha paura per i danni alla salute che potrebbero derivare dal continuare a vivere su quel sarcofago di veleni. “Quello che sappiamo con certezza è che continuano a non trattarci da esseri umani”, dice Giuliano, nato e vissuto a Giugliano, ma come tutti al campo, bosniaco per i documenti italiani, “Ci mettono di fronte ad opzioni che in ogni caso non rispettano la nostra dignità. Capisco chi vuole starsene tranquillo qui malgrado tutto, prima venivamo inseguiti, cacciati, abbiamo visto manifestazioni di centinaia di persone furiose per la nostra presenza”.

I bambini, che sono la metà dei quattrocento abitanti del campo, chiedono solo di poter respirare. Sorridono delle facce nauseate dei visitatori occasionali che arrivano per poche ore e promettono di tornare a fargli visita. La notte, raccontano, è il momento peggiore, la puzza si fa insopportabile, al punto da risvegliarli dal sonno. “Ci mettiamo le magliette sul viso e va un po’ meglio”, spiega un trucco uno di loro.  

Per l’Asl quei fumi non sono rischiosi per la salute. Pazienza per la puzza.  Ma resta da capire come sia stato possibile pensare di far vivere delle persone in una zona nella quale le analisi dell’Arpac hanno riscontrato nella falda acquifera sottostante un massiccio inquinamento da manganese, ferro, piombo, benzene, idrocarburi, toulene, tetracloroetilene e altre sostanze tossiche. I commissari prefettizi che reggono il Comune da circa un anno non sembrano curasene. Del resto per quel campo sono stati investiti 400mila euro. Sono serviti a spianare il terreno e a portare dei container reduci dall’emergenza terremoto in Abruzzo con bagni e docce. Ce n’è anche uno adibito a presidio sanitario che è restato aperto un solo giorno. Come abitazioni, invece, ci sono ancora le roulotte sgangherate con cui sono arrivati qui trent’anni fa fuggendo dalla Jugoslavia in guerra.  

Per chiedere lo spostamento immediato si sono mosse le associazioni territoriali che da anni si occupano di rom. Il padre comboniano Alex Zanotelli da settimane rivolge appelli alle istituzioni perché intervengano. “Non faranno nulla per noi”, dice rassegnato un uomo anziano, “ci hanno sgomberato dal vecchio campo perché c’era da bonificare i terreni e poi ci hanno messi nei rifiuti. Ci trattano come immondizia, cosa possiamo aspettarci?”.

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