Emergenza carceri: “Fate presto”

L’appello esposto sulla facciata di Palazzo San Giacomo.

carcere-di-poggiorealeNell’ultimo anno sono 151 i detenuti morti in cella, 59 i suicidi, uno ogni cinque giorni. La punta dell’iceberg di una situazione resa drammatica da sovraffollamento, cure scadenti e mancati progetti di reinserimento. “Fate presto” si legge su uno striscione esposto ai balconi della sede del Comune di Napoli che aderisce all’appello de Il Carcere possibile onlus: “Le condizioni di vita in carcere non sono più tollerabili”, dice l’assessore al Welfare D’Angelo. Le associazioni impegnate nella difesa dei diritti dei detenuti: “Amnistia subito, poi le riforme”.

Che in Italia siano violati i diritti dei detenuti è cosa nota. Lo ha ammesso il governo nel lontano 13 gennaio del 2010. Fu l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano a dichiarare lo stato d’emergenza del sistema carcerario. Urgenti interventi di riforma furono sollecitati alle Camere dal Presidente della Repubblica Napolitano. A distanza di due anni è lo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a riproporre all’attenzione mediatica la drammatica condizione d’illegalità dei penitenziari italiani. “In due anni non è stato fatto nulla di concreto. Anzi si è passati da 64 mila detenuti di due anni fa ai circa 66mila di oggi”, spiega il presidente di Antigone Campania Mario Barone. “Il ministro Severino aveva annunciato provvedimenti entro settembre, li stiamo ancora attendendo”, attacca la garante per i diritti dei detenuti Adriana Tocco.

La Campania fa registrare il record nazionale di sovraffollamento in un istituto di pena: nel carcere femminile di Pozzuoli su una capienza di 90 posti sono 200 le detenute, il 219 percento in più del previsto. Al 195 percento il carcere di Poggioreale dove in 2600 affollano uno spazio destinato a 1347 detenuti. “Lì ho visto uomini costretti a vivere, senza iperboli, come dei maiali. Otto dietro porte blindate, in celle dove non possono restare in piedi contemporaneamente tre persone”, denuncia l’avvocato Riccardo Polidoro de Il Carcere Possibile Onlus. “I numeri di Poggioreale sono quelli di un piccolo comune cui a causa della spending review sono stati negati tutti i servizi”, è il parallelo proposto dalla Tocco, “Spazi angusti, impossibilità di garantire l’apertura delle celle per mancanza di agenti, una sola cucina per tutti”.

L’accesso alle cure è una delle criticità maggiori. “Ogni volta che visito le carceri devo registrare tantissimi casi di assistenza medica insufficiente, segnalarle alla direzione e talvolta chiedere l’intervento della magistratura”, racconta la garante dei diritti dei detenuti, “Meno di un mese fa a Poggioreale sono intervenuta per sanare una situazione in cui un solo detenuto doveva aiutare quattro compagni di cella paraplegici, di cui uno in gravi condizioni di salute. Mi chiedo come sia possibile che nessuno si fosse accorto di nulla. Ottenere una visita specialistica, come un controllo cardiologico, è poi un’impresa impossibile, possono passare mesi”.  Oggi la sanità nelle carceri è di competenza delle Asl e non più del ministero di Giustizia. Un passaggio che non sembra aver prodotto grandi benefici: “Abbiamo riscontrato difficoltà nel concordare interventi tra direzione e aziende sanitarie in quasi tutte le carceri monitorate”, dice Barone, “per non parlare della mancanza quasi totale di interventi di sostegno psicologico”.

Amnistia e indulto sono invocati come interventi necessari, urgenti, ma non sufficienti da chi è in prima fila nella difesa del diritto dei detenuti. “Occorre riformare il sistema della pena con un ricorso alle misure alternative e l’attivazione di percorsi veri di reinserimento. Così come sono le carceri restano delle università del crimine”, dice la Tocco. “Una resa incondizionata dello Stato”, è il parere di Polidoro, “Oggi in mancanza di una qualsiasi idea di intervento strutturale sono, però, necessarie per tamponare l’emergenza”. Dello stesso avviso Barone: “Un’amnistia porterebbe dei benefici, ma non si può considerare sempre come l’unica soluzione possibile al sovraffollamento. I dati statistici dimostrano che la recidiva di chi sconta la pena con misure alternative e di gran lunga inferiore a chi esce dal carcere. La strada da intraprendere è chiara”.  

Nell’anno in cui il cinema italiano è rappresentato agli Oscar dal film “Cesare deve morire” dei Taviani, un detenuto è il protagonista di Reality di Garrone, e “Il gemello” di Marra sulla vita nel penitenziario di Secondigliano è accolto dagli applausi al Festival di Venezia, la maggioranza dell’opinione pubblica sembra ancora non particolarmente sensibile al tema della condizione carceraria. “Prevale l’idea che chi è in carcere si meriti tutta la sofferenza che subisce. E’ l’atteggiamento  anche dei politici, sono pochissimi quelli disposti ad assumersi il peso di una questione percepita come impopolare”, spiega Barone, “Il carcere è popolato da immigrati, tossicodipendenti, autori in genere di piccoli reati. E non da pedofili e sanguinari come risulta all’immaginario collettivo. I detenuti per mafia, ad esempio, sono solo il 4 percento del totale”.

Anche dall’interno dei penitenziari le voci di protesta sono effimere. Resta poco dei movimenti di rivendicazione dei detenuti degli anni ’70. “La discrezionalità dello sconto di pena per buona condotta, introdotto dal ordinamento del 1975”, continua il presidente di Antigone “se da un lato è giustissimo, dall’altro mette il bavaglio ai detenuti che, per usufruire di giorni di permesso e riduzioni, non denunciano”. Polidoro la chiama “estorsione di Stato”: “Il carcere dovrebbe essere trasparente e invece non mi è mai capitato di poter raccogliere la testimonianza di un detenuto senza la presenza costante di un agente. La violenza è diffusa, ma tutti tacciono. Alcuni agenti hanno avuto il coraggio di denunciarlo apertamente. Con questo non voglio gettare la croce sulla polizia penitenziaria, sottodimensionata e costretta a un lavoro improbo”. Al caso Cucchi si rifà la Tocco “Un caso eclatante che evidenzia tutte le distorsioni del sistema. Nelle nostre carceri c’è una situazione permanente di illegalità e violazione dei diritti”.

Da lunedì anche il comune di Napoli ha deciso di fare suo l’appello de Il Carcere Possibile a Governo e Parlamento: “Occorre garantire il rispetto dei diritti umani e favorire il recupero dei condannati”, spiega l’assessore al Welfare Sergio D’Angelo. Sulla facciata di Palazzo San Giacomo l’urgenza della condizione carceraria suona come l’allarme per un terremoto: “Fate Presto” 

LR

© RIPRODUZIONE RISERVATA