Marina Abramovic, Napoli e la paura

L'arte di Marina Abramovic torna in Italia nella mostra Digital Life 2 e lei, la matriarca della performance art si racconta ad Alessandra Farkas, sul Corriere della Sera. Nelle sue memorie Napoli ha un ruolo particolare e forse, anche se questa nuova esposizione non sancisce un suo ritorno, nella mostra organizzata dalla Fondazione Romaeuropa in collaborazione con Telecom Italia, a Trastevere, fino a domenica prossima, è possibile trovare il bandolo di una matassa che lega la grande madre della Performance art alla nostra città.

E' qui, dice, che ha scoperto la paura, durante la performance Rhythm Zero. E' il 1974, lo Studio Morra invita la giovane artista, già molto controversa, a portare in città la sua nuova creazione: durante l'esibizione, Marina resta per sei ore in balia del pubblico e dei 72 strumenti ed oggetti messi a disposizione per chiunque volesse utilizzarli, in qualsiasi modo. Lamette, forchette, fiammiferi, una rosa, chiodi, piume, un pettine, una frusta,un rossetto, un ago, coltelli, fiammiferi, forbici, grappoli d’uva. Il pubblico poteva utilizzarli come meglio credeva, su di lei: "La platea - racconta oggi alla Farkas - si spaccò in tre gruppi: chi mi vedeva come una madre, chi come una Madonna e chi una puttana. Ho sfiorato per un pelo la morte e, da allora, so cos’è la paura e come evitarla". L'apice drammatico fu raggiunto quando la pistola carica presente tra gli oggetti le venne poggiata alla fronte.

Raffaella R. Ferré

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