"Sfortunato il richiedente asilo che vive in Italia", il sindacalista Bilongo spiega la vita impossibile dei rifugiati

jean-bilongo"Sono abbandonati a loro stessi, non ci sono azioni serie di sostegno e integrazione". Jean Renè Bilongo, componente del dipartimento nazionale Politiche immigrazione della Cgil, è lapidario nel descrivere la condizione dei rifugiati nel nostro Paese. Il confronto con altre nazioni europee è impietoso: "Lì sono trattati con la premura che merita chi è fuggito dalle discriminazioni e dalla guerra e ha vissuto sulla propria pelle violenze  e tortura. Qui sono abbandonati e finiscono nella rete di sfruttamento dei caporali".

Eppure lo SPRAR, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati concepito dall'Italia, è preso a modello dall'Unione Europea?

“In Italia le risorse per il sistema di protezione dei rifugiati sono limitatissime. Lo SPRAR è sicuramente efficace, ma sulla carta, come modello appunto. Nella realtà garantisce assistenza a una percentuale bassissima di rifugiati: volendo fare una stima per eccesso circa settemila migranti, su oltre cinquantamila riconoscimenti di asilo politico. Tutti gli altri, invece, devono vedersela da soli, senza alcun supporto. Ed è ingeneroso e scandaloso nei confronti di persone che hanno subito violenze, discriminazioni, torture e che piuttosto avrebbero bisogno di percorsi di accompagnamento e inserimento”.

All'estero come funziona l'accoglienza?

“All’estero la rete di sostegno per i rifugiati è sicuramente meglio organizzata e più efficace. Questo è uno tra i motivi che induce i migranti sbarcati a Lampedusa a dichiarare di voler andare in altri Paesi. In Inghilterra, Belgio, Germania nei Paesi scandinavi, persino in Svizzera, che da qualche tempo sta stringendo i cordoni dell’accoglienza, c’è una vasta gamma di percorsi di sostegno per chi ha ottenuto l’asilo per ragioni umanitarie e politiche. Garantiscono per tutti percorsi di formazione, alloggi, assistenza psicologica e sanitaria, talvolta sussidi economici. Per non parlare del fatto che il numero di rifugiati accolti in questi paesi è di gran lunga superiore al nostro. In Germania sono centinaia di migliaia”

In Italia possono passare anni prima che a un richiedente asilo sia riconosciuto lo status. Come mai i tempi sono così lunghi?

“Bisognerebbe chiederlo a chi si occupa delle pratiche. Sono tempi non tollerabili, le risposte dovrebbero essere immediate. Un tempo la commissione per il riconoscimento era unica. Per sveltire le pratiche si è deciso di decentralizzarla, creando dieci commissioni. Eppure i tempi non si sono affatto accorciati e i percorsi burocratici restano molto farraginosi. Ci vogliono anni per ottenere una risposta. Spesso si ovvia concedendo protezioni umanitarie e sussidiarie, che sono temporanee e non offrono sistemi integrati di inserimento. Va ripensato con una legge tutto il nostro sistema di sostegno ai rifugiati.  Così come è oggi li spinge persino una vita da sfruttamento”

Da rifugiati a sfruttati. Come è possibile?

“Per i primi mesi non hanno la possibilità di ottenere un lavoro perché restano in uno status indefinito. Spesso arrivano con le famiglie. Se non hanno in questo tempo un sostentamento come fanno a sopravvivere?   Non possono avere contratti di lavoro e così come tantissimi irregolari finiscono per accodarsi ai tanti immigrati che cercano lavoro nelle rotonde. Quando, dopo anni, la risposta arriva, se arriva, non lo sapranno più. Già non avranno più un domicilio stabile e saranno coinvolti nella transumanza attraverso l'Italia in cerca di lavoro"

 Ma al di là dei tempi, anche il numero di richieste accolte diminuisce sempre di più.

Credo francamente che le commissioni abbiano avuto indicazioni politiche per valutare in modo più severo le richieste. Siamo arrivati a situazioni paradossali come nel caso di cui sono venuto a conoscenza poco tempo fa: tre afghani con tanto di documenti si sono visti rigettare le domande. Stiamo parlando di un Paese in cui, è noto a tutti, c'è una guerra da decenni. Se non hanno diritto loro all’asilo chi può averlo?”   

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