Il reinserimento nella società, esperienze di un percorso possibile

La persona che soffre di una patologia psichiatrica anche grave può riallacciare relazioni umane e reinserirsi nella società: la psichiatria degli ultimi anni lo testimonia. Tuttavia nella società permane una diffusa convinzione che il “malato psichico” non sia recuperabile. “Questo forse dipende da una nostra incapacità di comunicare i risultati ottenuti” confessa lo psichiatra Michele Gargiulo.

Professionisti con anni di lavoro alle spalle, e con ruoli diversi, come Vincenzo Cuomo della cooperativa il Calderone, il dottor Tullio D’Amore, la dottoressa Carla Mangioni, la psicologa Bianca Maria Croce della cooperativa “L’Aquilone”, ma anche i familiari dei pazienti hanno numerose storie di “rinascita” da raccontare. Persone che non volevano uscire di casa, che avevano paura di tutti, in alcuni casi violente, affette da psicosi, sindromi ossessive o altre patologie gravi, che hanno ripreso a parlare con gli altri, e , gradualmente, hanno ritrovato l’amore per sé stessi e per la vita. E’ un percorso spesso lunghissimo, di anni e anni di lavoro quotidiano, in primis dipendente dalla forza di volontà del paziente e della famiglia, ma in cui indispensabile è il supporto di professionisti.

Gli psicofarmaci sono in molti casi necessari, ma gli psichiatri interpellati hanno voce unanime nel considerarli solo un sostegno nel percorso di riabilitazione: “non fanno più del 30% nell’ottica del recupero” – osserva il dottor Tullio D’Amore. Il progetto guidato dal dottor Walter Di Munzio dimostra come l’attività relazionale e lavorativa abbia un impatto maggiore dell’utilizzo di psicofarmaci nel recupero. Dal2000 aNocera sono stati avviati percorsi riabilitativi strutturati. Nel 2004 parte un progetto del Ministero della Salute, finalizzato all’ inserimento lavorativo, che prevede la selezione di 50 utenti in 3 regioni con diagnosi di psicosi gravi, e con una storia clinica con numerosi ricoveri in successione; inseriti nei gruppi di formazione e poi in piccole cooperative di lavoro, vengono impegnati in 10 attività: si occupano di arredo urbano, recupero di testi antichi, addestrati dai monaci benedettini nell’Abbazia di Cava dei Tirreni, producono piastrelle e la linea di moda “crazy fashon”, merce poi rivenduta. “Sono stati applicati protocolli di riabilitazione spesso con una riduzione dei farmaci, e si è passati da una media di 5, 2 ricoveri all’anno ad 1,3: un miglioramento che se fosse stato ottenuto con un farmaco avrebbe determinato investimenti milionari, ma essendo stato ottenuto con percorsi riabilitativi non ha prodotto nulla” afferma con amara ironia Di Munzio. Altro progetto lavorativo è quello “Carta utenti”, con un finanziamento di circa 800 euro mensili, “un’esperienza importante conclusa per mancanza di fondi” rimarca il dottor D’Amore, che per avviare l’orto del suo centro diurno ha fatto ricorso a risorse proprie.

Mi reco in visita al centro de “L’Aquilone services”, società cooperativa sociale di tipo b, con 36 soci totali e una quota di soci svantaggiati pari al 64%. Nato oltre 25 anni fa come sperimentazione , l’Aquilone è oggi uno dei punti nevralgici della riabilitazione a Napoli. Bianca Maria Croce, psicologa e cofondatrice della cooperativa, mi fa visitare i laboratori che vengono svolti nei tre piani della struttura, dove gli utenti lavorano la ceramica, il legno, la carta, ristrutturano mobili o ne trasformano l’uso, creano oggetti d’arte, rilegano libri. Vedo le persone, i “pazienti”, lavorare in tranquillità, con attenzione e precisione. Bianca Maria dice di aver intrapreso quest’avventura circa 25 anni fa, quando questo genere di riabilitazione veniva considerato pioneristico e guardato con scetticismo. Bianca vorrebbe che la struttura de l’Aquilone fosse al centro della città, la periferia rende più difficile il recupero. Resto a mangiare al centro Aquilone e dopo pranzo Giuseppe, un ragazzo di circa 30 anni, uno dei “pazienti”, si offre di darmi un passaggio con lo scooter fino al centro Gulliver. Quando scendo dallo scooter mi chiede di dire alla sua dottoressa che è stato lui a riaccompagnarmi. Le persone con disagio ritrovano fiducia in se stessi giorno per giorno, gesto dopo gesto, e Giuseppe sembra aver intrapreso il percorso giusto.

Il centro Gulliver è attivo dal 1995, e vi lavorano alcuni operatori della cooperativa “L’Aquilone”, tra cui il tecnico di riabilitazione Tina Cirillo, il maestro di musica Gianluigi Vacca, il tecnico di primo livello Valerio De Michele. Gianluigi ha composto e arrangiato insieme agli utenti del centro alcune canzoni, poi incise su disco e disponibili in rete; Valerio ha portato i ragazzi del centro a gareggiare in serie D nel circuito del tennis tavolo: le attività che portano gli utenti a confrontarsi col mondo esterno sono essenziali. Al centro Gulliver c’è una riunione con le famiglie per organizzare le gite durante l’estate. Mancano i fondi e le famiglie dovranno versare una piccola quota per le spese. Flora e Nunzia, madri di due utenti, ringraziano gli operatori per il lavoro fatto coi loro figli e i miglioramenti ottenuti. Flora dice di essere la mamma di “un giovanotto psicotico, che si era ridotto quasi a un vegetale, non si muoveva, non faceva niente, non voleva entrare in una macchina. Poi quattro anni fa ha iniziato a venire al centro, l’anno scorso faceva 5 attività, tra cui giardinaggio, e partecipava a gite sovvenzionate dall’ASL. Noi genitori abbiamo visto che gli operatori insieme ai dottori fare laboratori quasi da soli senza fondi. Chiediamo che facciano qualche attività in più, che possano reinserirsi nel sociale. Sono tornati ad essere umani; sono cose giganti per noi, perché ci danno un po’di libertà.”

I fondi per le uscite fuori dalle strutture mancano in molte strutture. Il caposala della SIRla Gabbianellamostra le foto delle gite al mare, e dell’incontro di alcuni pazienti con il papa Giovanni Paolo II, e con animosità ricorda: “Anche se pestavamo i piedi a qualcuno per fare le gite, a me non importava. Portavamo al mare o in pizzeria persone che erano state per anni rinchuse. Lo facevamo per la dignità dei pazienti. Io l’ho fatto e lo farò sempre”. Una signora, madre di tre figli, testimonia la sua gratitudine agli operatori che l’hanno aiutata: “ero una larva umana, ho tentato il suicidio. Ora , grazie alla cooperativa che mi ha seguito, lavoro nella cucina dell’istituto Colosimo.”

Anche l’arte è uno strumento di riabilitazione. Il gruppo Zoone della cooperativa Alisei realizza quadri, sculture e ceramiche, e organizza mostre. “E’ un modo per incanalare le emozioni”. Anna Artucci, presidente del gruppo, illustra con voce rotta dall’emozione un suo quadro: “Parla della madre, del padre, dei figli, fratelli, delle persone che non ci sono più e noi le vorremmo, ma è una cosa impossibile.” Un altro membro del gruppo zoone, affetto da evidente patologia psichiatrica, indica una sua opera e dice “per me fare sti’ quadri è na’ felicità”

© RIPRODUZIONE RISERVATA