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Martedì 23 Aprile 2024




Salute mentale a Napoli: servizio pubblico a rischio

che-folliaGli utenti dei servizi di salute mentale in Campania rischiano in un futuro prossimo di non poter ricevere un’assistenza sanitaria pubblica per il tempo necessario alla loro riabilitazione. E’ quanto potrebbe avvenire per un decreto regionale approvato lo scorso gennaio. Non è ancora operativo ma già solleva polemiche. Il decreto regionale n. 5, in cui si prevedono criteri e modalità di accesso per le prestazioni sanitarie “in favore di cittadini adulti con disagio psichiatrico”, contiene, infatti, indicazioni precise sulla durata dell’attività terapeutica in base ai destinatari dell’intervento e i minuti di assistenza attribuiti a ciascun profilo professionale.

Ad esempio per i soggetti che necessitano di riabilitazione intensiva l’attività terapeutica avrà la durata di sei mesi, con la possibilità di rinnovare il progetto due volte. E dopo? nel decreto 5 non ci risposte sulla destinazione da dare ai pazienti che non abbiano ancora capacità di piena autonomia, o soffrano ancora di disturbi psichiatrici alla conclusione del termine temporale fissato per il recupero. Nell’attesa dell’approvazione dei regolamenti attuativi, ai sofferenti psichici dimessi non resterebbe che ritornare alle famiglie o essere lasciati a sé stessi. La via d’uscita, solo per chi può permetterselo economicamente, sarebbe il ricovero in cliniche private.

Gli operatori del settore contestano il decreto. Per loro un protocollo del genere non ha fondamento scientifico. “In psichiatria non si può calcolare il tempo di recupero di una persona e non si possono applicare alla salute mentale i criteri degli interventi per il corpo, come se si dovesse curare una frattura”, afferma lo psichiatra Michele Gargiulo, presidente della cooperativa sociale L’Aquilone e neo eletto presidente del consorzio di Cooperative sociali Gesco. Le voci di dissenso sono trasversali, provengono sia dal personale sanitario che dal terzo settore: “E’ giusto evitare che si cronicizzi la dipendenza del paziente dalle strutture assistenziali, ma il decreto non affronta il problema in modo corretto - aggiunge Massimo De Benedictis, presidente della cooperativa il Calderone - è impossibile prevedere il tempo che impiegherà il paziente per il raggiungimento dell’autonomia. Inoltre allo stato attuale non si è ancora sviluppata una strategia di dismissione dalle Strutture Intermedie Residenziali, non si sono formati gruppi appartamento in numero adeguato, né esistono sul territorio strutture di reinserimento lavorativo, passaggi necessari per il reintegro graduale del paziente nella società”.

L’allarme degli operatori si inserisce in un quadro già critico per il settore della Salute Mentale: Il mancato versamento da oltre un anno da parte delle Asl delle retribuzioni per gli operatori del terzo settore, che in gran parte hanno una paga mensile non superiore agli 800 euro, e il blocco delle assunzioni del personale medico previsto dal Piano di rientro sanitario della nuova amministrazione regionale stanno mettendo a rischio la rete di servizi pubblici destinati alla cura di persone con patologie psichiatriche. Ad essere in generale a rischio in Campania, e in particolare a Napoli, è il modello di assistenza per la salute mentale fondato sul lavoro sinergico delle Aziende Ospedaliere Locali e del privato sociale.

Il modello di Napoli e il rischio di privatizzazione

Il lavoro in sinergia del pubblico e del privato sociale è stato a Napoli una conquista graduale. Dopo la legge 180 del 1978, che disponeva la chiusura dei manicomi, a Napoli non si crearono immediatamente strutture sostitutive dei manicomi in grado di assicurare possibilità di riabilitazione. Solo a partire dai primi anni ‘90 prese vita una effettiva rete di servizi in cui alle figure professionali di psichiatri e infermieri, del servizio pubblico sanitario, venivano affiancate professionalità provenienti da altri ambiti, come l’arte, il teatro, lo sport, la sociologia, appartenenti alle associazioni del terzo settore e delle cooperative sociali. “La collaborazione tra persone con formazioni diverse si è rivelata necessaria per pazienti che, oltre alle cure farmacologiche e psicologiche, hanno bisogno di scambi relazionali e attività multiculturali ai fini del reinserimento sociale” afferma Olindo Giacci, direttore delle Attività socio – sanitarie del Dipartimento Asl Napoli 1 Centro, che comprende 20 strutture residenziali, 7 centri diurni e accoglie più di 200 utenti. Ora il proseguimento di questa collaborazione è messo in discussione.

La progressiva privatizzazione dei servizi offerti oggi in co-progettazione dal sistema pubblico sanitario e dal terzo settore rappresenta un serio rischio per la collettività perché significherebbe privare gli utenti di un lavoro di sinergia con alle spalle un’esperienza quasi trentennale che ha dato risultati crescenti. Premessa da fare è che le cooperative del privato sociale, pur essendo società commerciali, per legge devono perseguire benefici per la collettività al contrario delle cliniche private che sono a scopo di lucro e devono produrre utili per le società che le hanno in gestione. Olindo Giacci denuncia che “nel caso le strutture residenziali e semiresidenziali si privatizzassero, sarebbe interesse dei proprietari non chiuderle mai, la presenza del pubblico dà invece una spinta all’ambito riabilitativo. L’integrazione che in ogni distretto avviene tra il centro di salute mentale e le strutture, e tra il lavoro del pubblico e del terzo settore deve proseguire”. Inoltre, come sottolinea anche lo psichiatra Michele Gargiulo, “è impossibile che un solo soggetto privato sia capace di dare una risposta articolata e vasta come quella prodotta dalla rete attualmente operativa”. Tra gli psichiatri è diffuso il timore che si vada verso la formazione di ambulatori in grado di fornire la sola assistenza farmacologica. La problematica principale resta quella delle risorse. “Una questione di scelte politiche – secondo Rosario Daniele, responsabile del centro di salute mentale di Scampia -   Il sistema di erogazione delle risorse è spesso clientelare e non privilegia i pazienti. E se i servizi pubblici funzionano poco, i pazienti e le famiglie scelgono strutture private convenzionate, in cui una giornata di degenza costa 200 euro. I pazienti poveri saranno i più penalizzati”.

Assistenza psichiatrica : conquiste e criticità

Il modello di assistenza psichiatrica creato a Napoli, sostengono gli operatori pubblici e del terzo settore, ha portato alla riduzione del numero di ricoveri, esperienze traumatiche per la persona e per la famiglia, che comportano anche un alto costo per la spesa pubblica.

Gianluigi Bettoli, presidente della Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia è convinto che il processo di privatizzazione produrrà in Campania un peggioramento delle condizioni di vita, sempre più ricoveri e un aumento della spesa pubblica. “Questo significherebbe mandare in aria il lavoro di decenni“, è l’amara constatazione dello psichiatra e psicoterapeuta Tullio D’Amore, responsabile del Centro Diurno Riabilitativo “Canone Inverso”.

Con la chiusura dei manicomi è stata restituita dignità ai pazienti, ma restano gravi lacune nell’assistenza. Documentare i risultati prodotti dal lavoro della rete di assistenza socio sanitaria non è semplice, ma è possibile ugualmente constatarne gli effetti: la riduzione dei ricoveri negli ultimi anni e i test che i pazienti sostengono all’entrata nei centri (utili a verificare periodicamente i passi in avanti) sono dati significativi, e la loro rilevanza ha valore anche in considerazione delle condizioni di vita in cui versavano gli “internati” dei manicomi. Vincenzo Cuomo, operatore specializzato in riabilitazione psichiatrica della cooperativa sociale Il Calderone, racconta che l’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi era “un luogo senza tempo, perché la malattia mentale era considerata inguaribile, e i pazienti venivano abbandonati a se stessi, l’importante era tenerli lontani dalla società. Si praticavano elettroshock, li si legava ai letti, si lasciava che vivessero in pessime condizioni igieniche. Alcuni reparti accoglievano 800 persone, molte delle quali rinchiuse perché eccentriche o “scomode” per le famiglie o il governo. Spesso tra pazienti e infermieri avvenivano rapporti sessuali e nascevano figli. Chi entrava nel manicomio non aveva più un futuro, e l’abbandono era totale. Ricordo una signora che morì dopo essere svenuta in una doccia ed essere rimasta tutta la notte sotto un getto di acqua bollente”. Dopo la chiusura dei manicomi a Napoli sono state create SIR, Case Famiglia, Gruppi appartamento e centri diurni, tuttavia, per mancanza di personale, di risorse, e di strutture, hanno risposto solo parzialmente alle esigenze degli utenti; soprattutto manca il collegamento con il tessuto sociale.

Le testimonianze dei pazienti e dei familiari sono una fonte preziosa per verificare la bontà delle pratiche che hanno sostituito i manicomi. Durante il convegno Salute mentale senza pregiudizi organizzato lo scorso giugno a Napoli, la sorella di un paziente affetto da una gravissima forma di schizofrenia ha raccontato di aver trovato una migliore assistenza in Liguria. Ma sono molte le famiglie che invece testimoniano l’efficacia dei servizi di Napoli. Dopo una riunione “estesa”, presso il centro diurno Gulliver, a Secondigliano, Flora e Nunzia, madri di due utenti, ringraziano gli operatori per il lavoro fatto negli anni e i miglioramenti ottenuti dai loro figli nell’attività quotidiana. Gli operatori del Gulliver segnalano di non avere risorse per un computer, per stampare, per fare gite; hanno organizzato coi familiari una “riffa” per autofinanziarsi. Portano molte delle cose utili per i laboratori come contributo volontaristico. Ma confidano che è dura andare avanti in queste condizioni: “Noi insegniamo ai nostri utenti ad avere rispetto per loro stessi, e quindi anche noi operatori dobbiamo averlo per la nostra stessa dignità, siamo tutti laureati e offriamo un servizio professionale” – spiega Tina Cirillo, tecnico della riabilitazione psichiatrica. Anche nella SIR la Gabbianella si rileva una mancanza di risorse. Una delle problematiche principali nasce dal fatto che i pazienti soffrono di patologie molto diverse per tipologie e gravità : “Alcuni hanno bisogno di essere seguiti 24 ore su 24, altri potrebbero essere inseriti in gruppi appartamento”, spiega la psicologa Rosaria Menafro.

Un esempio significativo di carenza di personale si individua nel centro di Doppia Diagnosi, la patologia di chi soffre di tossicodipendenza e nello stesso tempo di disturbo psichiatrico, della Asl Napoli 2 Nord, coordinata dal dottor Gilberto di Petta. Si tratta dell’ unica struttura pubblica a Napoli che dispone della possibilità di somministrare sia metadone che antipsicotici di ultima generazione. Annesso alla struttura si trova un centro diurno per psicoterapia e riabilitazione. “Finora in totale sono state aperte circa 700 cartelle cliniche, ma tutto il lavoro ricade su due psichiatri, un infermiere, 2 psicologhe e 4 operatori sociali del privato sociale con un contratto in bilico. Abbiamo abbattuto al massimo i costi, ma c’è bisogno di personale aggiuntivo”, è l’appello del dottor Di Petta.

Un’altra lacuna grave si individua nel passaggio tra centri diurni alla società civile. Il dottor Rosario Daniele sostiene che “i centri permettono al paziente di non peggiorare, ma la riabilitazione deve avvenire all’interno della società civile”. In questa direzione si muove l’attività del centro Jerry Masslo, coordinato dalla dottoressa Carla Mangioni, che ha contatti con la cooperativa l’Uomo e il legno, il centro Hurtado, il centro Mammut, e i centri diurni Gulliver e Canone Inverso, coordinati dalle dottoresse Rossana Calvano e Angela Marano. Tuttavia i luoghi di effettivo reinserimento sociale restano pochi, e la tendenza all’esterno della rete assistenziale continua ad essere quella dell’emarginazione del sofferente psichico.

La scarsa uniformità di servizi offerti dai centri diurni costituisce un limite, come sottolinea il dottor Tullio D’Amore: “Io mi reputo fortunato perché nell’ organigramma del mio centro diurno ho figure professionali di valore. Inoltre dovrebbe esserci più interscambio tra i centri in modo da poter offrire il maggior numero di attività diverse ai pazienti”.

Per quanto concerne le cooerative sociali, invece, un aspetto da chiarire e modificare, secondo il dottor Gargiulo, sono i bandi di gara: “Spesso i criteri del bando privilegiano l’offerta economica più bassa: in questo modo si favoriscono le false cooperative”.

L’importanza del lavoro

Il lavoro non rappresenta la soluzione unica al disagio psichiatrico, che richiede prima di tutto un recupero dell’attività relazionale, ma costituisce uno strumento imprescindibile per la riabilitazione. Lo dimostra l’esperienza del dottor Walter Di Munzio, che attraverso un progetto lavorativo condotto con 50 utenti psicotici gravi ha rilevato, al termine del percorso, una sensibile riduzione dei ricoveri annuali e prodotto oggetti competitivi sul mercato. Altro esempio di attività utile ai pazienti sotto il profilo relazionale e produttiva in termini economici sono i laboratori curati dalla cooperativa sociale L’Aquilone: mobili, suppellettili, oggetti d’arte vengono rivenduti nel negozio “Che follia!” in via Tribunali 308.

Quale futuro per la rete sociosanitaria? Dalla ricerca e dalle testimonianze emerge che il modello di sinergia tra pubblico e privato sociale ha dato buoni frutti negli ultimi trenta anni, l’abbandono delle prassi manicomiali costituisce un progresso per la dignità umana. Tuttavia lo stesso modello evidenzia criticità, da risolvere attraverso maggiore trasparenza, nuove risorse e l’allargamento del personale, sia pubblico che del privato sociale. Se si dovesse proseguire in direzione contraria l’utenza sarebbe costretta a chiedere assistenza al privato imprenditoriale, a danno della maggioranza dei cittadini, in particolare dei più poveri.

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