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venerdì 29 Marzo 2024




Broken Barbie, storia di Stella, ragazza spezzata

brokenbarbieUna ragazza spezzata, questa è Stella. Napoletana che detesta Napoli e la sua gente, i suoi miti; adolescente che vive con estrema sfrontatezza la sua età. La vita le ha fatto un dispetto: vuol farla crescere, cambiare, diventare grande. Stella si oppone come può: se il suo animo è scalfito, frantumato, se il suo corpo porta i segni di lotte quotidiane è perché lei è una guerriera. Il fronte aperto è quello con le crocchette, i panzerotti, gli arancini che divora e che rimette; con le patatine e i tranci di pizza cui si sottrae sentendosi fortissima e padrona. Accarezzata dalla voglia d’anoressia, presa dal laccio della bulimia, dir di no al cibo sembra un modo per dire sì a se stessi nel romanzo “Broken Barbie” di cui Stella è protagonista. Pubblicato da Fazi, il libro è diventato un caso editoriale, divorato da tantissimi con la stessa foga con cui la giovanissima eroina divora di tutto nei suoi momenti di bulimia. Ne parliamo con l’autrice, Alessandra Amitrano, napoletana trapiantata a Roma.

D: Stella è una bambola rotta eppure ha un’approccio fiero alla vita, quasi audace. Anche nel suo rapporto con il cibo, descritto in modo crudo e senza patetismi, è lei a comandare: come sei riuscita a raccontare in maniera tanto accurata questo atteggiamento strisciante, quest’illusione di potere comune a tante ragazze affette da anoressia e bulimia?

R: Ho sofferto di disturbi del comportamento alimentare in prima persona. Ero piccola ed è passato del tempo, ma quando ti succede è una cosa che ti porti dietro sempre e sempre continui a farci i conti. Eppure, l’anoressia, la bulimia, per quanto devastanti, io non riesco a considerarle una malattia nel senso pieno del termine. Anzi, credo che connotarle a questo modo sia quasi deleterio: c’è un’età in cui crescere è una cosa difficile, una malattia sembra aver un certo fascino, essere una prova concreta, fisica, del dolore che porti dentro. Bisognerebbe parlare di anoressia e bulimia come di reazioni alla vita e ai problemi che essa ci porta ad affrontare, e bisognerebbe anche dire chiaramente che alla base di queste reazioni c’è sempre qualcosa di più profondo. È su quello che bisogna lavorare. Soffrire è un vantaggio/svantaggio perché nonostante tutto il dolore ci permette di indagare noi stessi. Stella, la protagonista del romanzo, vive i suoi problemi con forza perché a livello inconscio comprende che l’angoscia, la sofferenza che prova sono un tramite per capire non solo sé stessa ma la vita che le si apre davanti. Per lei la malattia è un mezzo di conoscenza: è una guerriera e la spada è il suo stesso corpo.

D: Stella ha diciassette anni, sacrifica la sua carne “finché non rimarrà una cosa sola: la pelle”. Eppure, senza seno, bionda, truccata, levigata, tirata a lucido, è la Barbie del titolo, forse “rotta” ma di sicuro vicinissima ai canoni dell’estetica pubblicitaria, della moda. Che peso hanno i media nella definizione della propria immagine corporea?

R: Parliamo di stereotipi ma credo anche che i corpi, quello anoressico, quello bulimico, parlino da soli: c’è quello spigoloso che vuole risultare più duro, scontroso; c’è quello grosso, che si trincera e si difende. Ma un’adolescente, per quanto forte, originale, guerriero possa essere, è sempre succube dell’immagine del corpo trasmessa dalla televisione e dai media. Perché è quello il programma che guarda in tv, è quella la rivista che legge, quelli i vestiti che vede in vetrina, quella la taglia che trova in negozio: la 36, la 42, la 44 al massimo. Bisogna interrogarsi sulla figura della donna magra, filiforme: è un concetto mutuato dalla moda e non voglio generalizzare ma quel prototipo nasce da un mondo di uomini e di corpi in conflitto.

D: Qual è il modo, se non per venir fuori da questo circolo vizioso, almeno per non alimentarlo?

R: Io ho superato i miei problemi anche diventando madre, ma credo che la prima cosa, la più necessaria, sia parlare: il non detto ha un fascino che può produrre mostri mentre le parole rendono tutto più chiaro e tolgono potere alla suggestione. La verità è terapeutica e il primo scalino da fare sulla via della guarigione è dire a chiare lettere le cose.

D: Internet rappresenta un’agorà virtuale: sono tantissimi i siti internet, i blog, i forum nati con l’intenzione di raccontarsi, discutere e dare sfogo. Eppure questa è un’arma a doppio taglio: nell’anonimato offerto dalla rete a proliferare sono anche gli spazi pro ana e pro mia, in cui le ragazze chiedono e si scambiano consigli sui comportamenti restrittivi...

R: Io ho avuto l’esperienza diretta della discussione in rete attraverso una mailing list dedicata ai disturbi dei comportamenti alimentari. Era bello e semplice partecipare perché il confronto e la lettura mi aiutavano a trasmettere le cose che stavo cominciando a capire. E attraverso le storie delle altre ragazze, attraverso i loro diari, scoprivo anche perché ci si ammala, il fatto che il perché sia sempre diverso ma che la radice sia comune. Intuivo le ragioni e le soluzioni e capivo che la cura passa sempre per l’accettazione. Da quell’esperienza sono nate relazioni e amicizie e in Stella c’è un po’ di tutte quelle ragazze. Ma è vero: in internet ci sono anche ragazze abbagliate dall’anoressia: il controllo del peso, le altre che ti chiedono come fai a resistere, quelle che ti incoraggiano e tu che ti senti forte, invincibile. Ho un blog, un diario on-line e l’avevo anche chiuso perché sentivo di aver completato un percorso ma poi mi sono accorta che il mio indirizzo, il mio nickname eran stati presi da un’altra ragazza che, per quanto volesse guarire, subiva ancora il fascino di certi comportamenti. Ecco, se ho deciso di riprendermi quel pezzetto di rete è perché volevo che restasse sano.

Raffaella R. Ferré

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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