“Le stanze del buco? Sperimentiamole a Scampia”

Parla un dirigente del Sert. “Tutelano la salute dei tossicodipendenti e la tranquillità dei residenti”

inchiesta-20092011-3Narcosale o stanze del buco: due termini tabù per l’Italia. Non per molti operatori del settore, che ne sollecitanola creazione. Daanni sono in prima linea per la riduzione del danno da consumo di stupefacenti. Nel Sert di Napoli dicono di essere una minoranza, ma in crescita. Uno di loro, un dirigente, ci ha rilasciato un’intervista sull’argomento. Non avrebbe avuto problemi a spiegare apertamente le sue ragioni. Resta, però, anonimo perché una circolare della Asl Napoli1 hareso obbligatoria per tutti i dipendenti un’autorizzazione del commissario straordinario a parlare conla stampa. Richiestadi autorizzazione a cui non è arrivata risposta. E abbiamo così preferito non renderne noto il nome.

Chi sono gli eroinomani che si bucano nelle scene aperte?

Per la maggior parte si tratta di disperati che non hanno dove andare, che sono fuori da qualunque circuito di integrazione sociale. Schiavi della sostanza, non hanno alcun interesse a entrare in contatto con i Sert né con programmi di disintossicazione. Si bucano nelle scene aperte perché sono prossime ai luoghi di spaccio: c’è tutta la filiera, dal produttore al consumatore. Sono ragazzi non solo dell’hinterland napoletano, ma di tutta la Campania, che comprano la sostanza e la utilizzano sul posto.

Che tipo di interventi andrebbero messi in campo per garantire assistenza anche a loro?

Dovremmo andare a guardare come si sono comportate altre realtà europee e mondiali: questo tipo di situazioni sono state molto efficacemente gestite mediante l’offerta a queste persone di un luogo protetto dove poter utilizzare le sostanze. Stiamo parlando delle Drug Consumption Rooms, in Italia dette narcosale o stanze del buco, che si trovano in quasi tutta Europa, in Canada, in Australia.

Come funzionano?

Sono strutture protette in cui i tossicodipendenti possono andare a consumare sostanze che hanno acquistato precedentemente. Spesso sono gestite da volontari che forniscono assistenza sanitaria. Nelle realtà dove sono state aperte si sono raggiunti risultati molto positivi. Sono anche molto bene accette dai residenti, perché migliorano la qualità della vita del quartiere: meno siringheper la strada, meno interventi del pronto soccorso e meno casi di Hiv o epatiti.

C’è  chi sostiene che questo tipo di interventi, “normalizzando” l’uso dell’eroina, ne incentiva il consumo.

Non ci sono dati che confermano posizioni del genere. Anzi. Questo tipo di intervento si rivolge a un tipo di consumatore che utilizzerebbe comunquela sostanza. Semplicementese ne protegge la salute, mettendolo in condizione di assumere droga in un ambiente protetto e controllato; ma soprattutto c’è una ricaduta positiva sulla collettività e sul quartiere, perché c’è maggior controllo su questi comportamenti devianti.

Effetti positivi sull’ordine pubblico, più sicurezza per i consumatori, meno malattie. Come mai, allora, in Italia le stanze del buco sono ancora tabù?

Purtroppo l’approccio alla questione della tossicodipendenza è ancora troppo ideologico. Ma la riduzione del danno, che è l’impianto teorico dentro al quale stanno le narcosale, non è né di destra né di sinistra. Si tratta semplicemente di fare l’interesse del singolo e della collettività: il singolo lo proteggi dal punto di vista sanitario e sociale assicurandogli una maggiore integrazione e maggiori possibilità di adattamento; la collettività la proteggi tenendo sotto controllo alcuni comportamenti che possono essere dannosi o comunque indesiderati. Scampia o altre aree dove si trovano le scene aperte sono quartieri normali, dove le mamme portano i bambini a scuola, vanno a fare la spesa, e purtroppo devono imbattersi in certe scene di degrado devastante. Con le narcosale potremmo ridurre sensibilmente il problema. Dovremmo essere più pragmatici. Non dimentichiamo che le prime narcosale sono state fatte in Svizzera, un paese tradizionalmente conservatore, e nel Cantone di Zurigo, il più conservatore di tutti.

Dunque siamo più conservatori della Svizzera?

Siamo più ipocriti, preferiamo nascondere la polvere sotto il tappeto, piuttosto che risolvere il problema.

Esperienze di questo genere sarebbero compatibili con la normativa vigente in materia di stupefacenti?

La normativa vigente è molto restrittiva e punisce chiunque favorisca in qualsiasi modo, anche mettendo a disposizione ambienti e locali, l’uso di droghe, quindi direi di no. L’unica possibilità è che il Ministero autorizzi delle sperimentazioni in deroga alla legge. A Torino, dove si era quasi sul punto di farle, l’escamotage era stato quello di pensare a queste sale come “stanze della salute”, per cui non si parlava di utilizzo di sostanze. Eppure non se ne fece niente. Comunque in alcune realtà italiane, informalmente, delle stanze del buco esistono già. Sono esperienze autogestite dagli stessi consumatori che si fanno in alcuni drop in presso realtà quasi istituzionali. Stanno dando buoni risultati.

A Napoli sarebbe possibile avviare delle stanze del buco?

Assolutamente sì, anche perché è un’istanza che proviene dal territorio. A Scampia, ad esempio, abbiamo rilevato grande interesse in molti dei residenti e degli operatori che abitano e lavorano nel quartiere.  Del resto nei Paesi dove le narcosale sono già realtà i residenti le hanno accolte molto bene. Le stanze del buco hanno prodotto risultati positivi ovunque siano state aperte. In Italia, invece, non siamo ancora riusciti a realizzarle nemmeno in via sperimentale. A Napoli abbiamo avviato un progetto, si chiama Impronte. Cerchiamo proprio di capire quale tipo d’intervento mettere in campo. Noi alle stanze del buco, o narcosale ci pensiamo come possibile soluzione. La cosa sorprendente è che interrogandoil territoriosono proprio residenti e associazioni a chiederci di realizzare una soluzione di questo tipo. E allora dal momento che a Scampia c’è la più grande piazza di spaccio d’Europa, se non da qui, da dove cominciamo?

Mario Leombruno e Luca Romano

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