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Giovedì 28 Marzo 2024




“Aiutaci a vivere”, un avamposto di impegno civile nel cuore dello spaccio

inchiesta-20092011-2Vengono fuori da cumuli di immondizia richiamati dal clacson. Corpi scheletrici, con gli occhi spenti, avanzano barcollanti fino all’auto per raccogliere il sacchetto di plastica con dentro acqua, panini, succhi di frutta che gli porge Patrizia. Da tantissimi anni questa donna dalle spalle larghe gira  tra i luoghi di consumo della più grande piazza di spaccio d’Europa per portare una qualche forma di assistenza ai tossicodipendenti. Precisamente dal 1995, quando ha aperto nel famigerato Lotto P, uno dei più importanti punti vendita di droga di Scampia, un piccolo ambulatorio. Lo ha chiamato “Aiutaci a vivere”, lo porta avanti senza fondi pubblici, solo con il sostegno di donatori e l’aiuto di una decina di medici specialisti che prestano servizio volontario.”Chi mi da la forza? La fede, senza non potrei farcela”, dice sorridendo, prima di cominciare il viaggio, che in pochi osano fare, tra i dannati che si raccolgono a decine in giardini periferici e magazzini abbandonati per bucarsi.

La prima tappa è a poca distanza dall’ambulatorio. Sul versante nascosto del Lotto P, quello che si affaccia sulla campagna. Nel piazzale sono fermi cinque volanti dei carabinieri e un furgone dei vigili del fuoco. “È un blitz. Ogni tanto ne fanno. Staranno demolendo i cancelli abusivi che servono agli spacciatori per segnare il confine e impedire intrusioni”. Fa ancora qualche metro e poi ferma l’auto davanti a un muretto che separa la strada da quello che dovrebbe essere un piccolo parco pubblico e ora è una discarica a cielo aperto. Da quei cumuli di rifiuti ecco riemergere una ventina di tossicodipendenti. Sono in pochi. Di solito qui ce ne sono almeno il triplo. La presenza delle forze dell’ordine li ha tenuti lontano. Dopo aver distribuito i sacchetti e i panini con la frittata, preparati dal marito e dai figli di buon ora, Patrizia decide di spostarsi. Sa già dove possono essersi nascosti gli altri. A un paio di chilometri, lungo via Limitone ad Arzano, c’è un deposito abbandonato.

All’interno ci sono una cinquantina tra donne e uomini. Ci sono quarantenni, ma anche giovanissimi, italiani e stranieri. “Signò, credevo che oggi non venivate più”, dice uno di loro. Qualcuno chiede una razione in più, per l’amico che si è appena fatto e non ha la forza di alzarsi. Mentre si avvicinano mostrano sulle braccia e sulle gambe profonde piaghe sanguinolente. “Sono infezioni, a volte finiscono in cancrena. All’ambulatorio arrivano quando il dolore è insopportabile e si arrendono all’idea di farsi curare”.

Con Patrizia da circa un anno c’è Lucia, infermiera del Sert. È tra gli operatori dell’unità mobile che ogni sera distribuisce siringhe ai tossicodipendenti di piazza Garibaldi. Lì incontra ragazzi provenienti da tutt’Italia, a Napoli esclusivamente per il tour della droga. “Abbiamo conosciuto Patrizia quando con il Sert stavamo facendo uno screening di tutte le associazioni di Scampia. – racconta –  Abbiamo intenzione di attivare dei servizi e degli strumenti nuovi per far fronte a questa situazione insostenibile e volevamo accogliere i suggerimenti di chi opera sul territorio. Ci siamo resi conto del lavoro incredibile che svolge Patrizia e abbiamo deciso di darle una mano e di servirci della sua esperienza”. Da quel momento Lucia l’accompagna e indirizza verso le strutture ospedaliere più idonee le persone che le vengono segnalate dall’ambulatorio. Proprio all’inizio gli operatori del Sert hanno provato a replicare anche a Scampia l’esperienza dell’unità mobile della ferrovia. “Quando hanno visto che dal camper distribuivamo siringhe si sono avvicinate due persone con le pistole, e hanno fatto capire chiaramente che lì non ci volevano. Per ora, ma solo per ora abbiamo dovuto desistere”, si ripromette Lucia.

La camorra qui non ammette alcuna concorrenza. Le siringhe si vendono, 50 centesimi da aggiungere ai 12 euro della dose. In realtà sono in pochi a pagare il sovrapprezzo. E nell’indifferenza degli spacciatori circolano gli stessi aghi e le stesse malattie. “Sono degli ignoranti, pensano solo ad arricchirsi”, tuona Patrizia. Per lei, che si dichiara profondamente cattolica, e dall’inizio è stata sostenuta dai gesuiti della vicina chiesa, una soluzione ci sarebbe. Ed è sorprendente: “Bisogna creare degli ambienti sterilizzati, con assistenza medica e psicologica, dove possano stare puliti e non nell’immondizia, esposti al rischio delle peggiori infezioni”. In pratica le famose stanze del buco, attive in mezza Europa e in fase di sperimentazione nell’altra metà del continente, che restano tabù per il nostro Paese. Su questa convinzione pesa il ricordo di troppi ragazzi morti per overdose. “Tra questi anche il figlio di una mia carissima amica”, ricorda, “lo avevamo salvato per un soffio altre volte, l’ultima è stata fatale”.

Nelle parole che usa per raccontare le storie dei tossicodipendenti che ha conosciuto e che aiuta non c’è ombra di giudizio morale. Le colpe contro cui puntare il dito sono altre: “Chi nasce qui ha buone possibilità di finire nella disperazione. Scampia per politici e istituzioni è un laboratorio di promesse non mantenute. Per me è paradossale e intollerabile che i ragazzi quando finiscono in galera hanno la possibilità di svolgere attività, frequentare corsi e laboratori, e quando escono si ritrovano nel nulla”. Come nel caso di Giovanni, assiduo frequentatore dell’ambulatorio. Nel carcere di Secondigliano ha imparato a fare il falegname, con altri detenuti ha persino costruito un aereo, ha avuto un momento di gloria, finendo in tv per raccontare questa avventura e ora da più di un anno cerca disperatamente un lavoro. Per dargli una possibilità è stato “assunto”, insieme a tre donne mogli di detenuti, nell’ambulatorio. Si occupano delle pulizie e del confezionamento dei sacchetti da distribuire ai tossicodipendenti: “Non posso dargli molto, ma sono di aiuto e soprattutto stiamo insieme”.

In questo avamposto nel cuore dello spaccio si resiste con piccoli successi. Come quello che ha per protagonista Concetta: “Avevamo da poco cominciato a collaborare con l’ambulatorio”, racconta Lucia, “raccogliemmo da un’aiuola questa ragazza in overdose. Era uno scheletro, coperto di sporcizia. L’abbiamo lavata e curata”. Viveva da mesi in un’auto, e all’inizio è stata presa in carico dal Sert. Poi la decisone di smettere, di tirarsene fuori definitivamente. Oggi è in una comunità di recupero nel Lazio. “Concetta è giovane, bella e ce la farà. Ormai ne sono sicura”, dice Patrizia, “l’ultima volta che sono andata a trovarla aveva le labbra disegnate con il rossetto. Capite? Si era messa il rossetto”.

Mario Leombruno e Luca Romano

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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