Carmen e le altre: racconti brevi aspettando un cliente

Hanno tutte vent'anni o poco più queste ragazze. Vengono tutte dall'est, si tengono sicure nei confini dell'Unione Europea. Tutte nomi semplici, appena esotici da farsi ricordare, Ana, Maria, Natasha. E tutto, alle volte, non corrisponde alla verità che sta scritta nel sangue e sul documento d'identità: sono proiezioni di sogno semplice cui tenersi strette come ad un corrimano su una strada dissestata che corre e taglia la periferia napoletana come una forbice, l'asse mediano, il doppio senso, e poi dritti fino a Giugliano, Villa Literno, Ischitella. Come sono arrivate qui, ad aspettare sotto un sole crudelissimo è un segreto che conosciamo tutti, ciò che non ci diciamo e non per poca sincerità ma per assenza di pubblico uditore: la tratta, la povertà, il fidanzato sbagliato, la fame, l'età giovane e la bellezza che alle volte sono un dispetto. Vite in affitto, per un'ora, anche meno. A far loro compagnia, tra un cliente e l'altro, ci sono cani vivi che fanno da guardia e cani morti che hanno scelto il momento sbagliato per attraversare la strada e che lì, sulla strada, sono rimasti, quasi a monito.

Carmen sorride e non ci dice la sua età, ha occhi azzurrissimi, non è dato sapere se siano dovuti alle lentine colorate o alla genetica, seno gonfio e in esposizione. Accarezza un bastardino nero, indica un gatto sul muretto di fronte, spiega che toglierebbe volentieri la parola a qualche essere umano per darla a loro, gli animali. Ne ha salvati tre di randagi, li ha portati a casa e adesso, dice, sono il mio unico amore. Quel che resta, parte minima, è in vendita sulla strada. Lei, per se stessa, pare abbia smesso di chiederne.

Veronica non è sola: con lei, dietro il guardrail c'è una collega più anziana o semplicemente più scafata. Non ha nulla della prostituzione nei vestiti: un giubbetto di pelle nera che tiene chiuso fino al mento, un pantalone scuro. Ma i capelli biondissimi spiccano sotto il sole, sono un richiamo sufficiente. Il trucco, tanto curato che non si vede quasi, non sa niente dei mascheroni cui siamo abituati. Legge il volantino dell'associazioneLa Gatta, legge e sembra dire, in tutti i modi possibili portati in dono dall'espressività umana, "che ci faccio qui?"

Ana e Natasha stanno su sedie di plastica ad una piazzola di sosta come due amiche davanti ad un caffè. Hanno unghie lunghe laccate e capelli lucidi, l'una color porpora acceso, l'altra biondo fluorescente; hanno sigarette Marlboro e parlano del poco lavoro, polizia e carabinieri che non danno tregua, clienti che offrono sempre meno. La crisi la sentono anche loro con questo mestiere più antico del mondo, c'è da stupirsi, forse, se inflazione, spread e borse a picco le raggiungono come l'ultimo cerchio sull'acqua?

La crisi la sente anche Marina: vent'anni, albanese o greca a discrezione della giornata e di quel che ricorda d'averti detto l'ultima volta, ha pantaloncini cortissimi e nuovi occhiali da vista. Tutti le dicono che è sexy, l'immaginario collettivo di professoresse seducenti, nessuno le chiede come mai ha dovuto indossarli, hanno voce solo per chiedere uno sconto: "Ma venti euro non è troppo, no?", chiede lei. E' cambiata molto dalle prime volte in strada: basta guardarla per capire. Marina ha imparato, come tutte.

Anche Natalia, capelli rossi, ha messo il pilota automatico. E per strada si fa forte, forte di trucco e di risate e di gambe esposte, e ride anche del poco lavoro, è leggera ma non per questo superficiale: nel suo viso offerto a chi passa come promessa c'è tanto la forza dell'età giovane, quella capacità di esporsi ai problemi senza timore, tanto la quieta rassegnazione di chi ha visto che la risoluzione di un problema non significa non ce ne saranno altri, domani o tra mezz'ora. E anche un sogno: quello di tornare a casa per Natale, con la neve, quella che noi non conosciamo mica, non così tanto. "Se le cose continuano ad andare così - continua - a casa ci dovrò andare a piedi". Tutto in lei dice: non ho paura. E sarà forse perché a queste ragazze è successo, in fondo, quello che succede a tutti almeno una volta nella vita: provare un dolore forte, provarlo con costanza, quotidianamente, e capire che, forse, forse, gli si può sopravvivere.

Raffaella R. Ferré

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