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venerdì 26 Aprile 2024




Il magistrato: “Quanto scopriamo è solo la punta di un iceberg”

agendaE’ quasi sempre su vecchi quaderni dai fogli ingialliti che si legge la drammatica storia di chi si è visto distruggere pezzo dopo pezzo la vita dagli usurai. Date e cifre a molti zeri che raccontano di minacce e violenze mentre il nome del cliente da strozzare è ridotto a due iniziali. “Li ritroviamo nascosti in un cassetto o in bella vista, immancabili ad ogni perquisizione”, ci spiega la dottoressa Anna Maria Troncone, Pubblico Ministero alla Procura di Nola, si occupa di reati finanziari e ha sostenuto l’accusa in molti processi per usura: “Aumenta il giro di affari, ai vecchi cravattai si sostituiscono coletti bianchi, ma i metodi restano gli stessi di sempre”. Anche da quei quaderni ci si può fare un’idea di quanto sia esteso il fenomeno: “Molto più – dice la Troncone - di quello che normalmente si possa immaginare, in gran parte resta sommerso e anche gli organi investigativi ne hanno una conoscenza parziale”.

Capita di rado che le iniziali scritte su quei fogli assumano la consistenza di una persona in carne e ossa. Per uno che denuncia, in tanti continuano a nascondersi. “La condizione di assoggettamento delle vittime è totale, – dice il Pm – vivono in balia dell’usuraio e la possibilità di rivolgersi alla giustizia e alle forze dell’ordine non è assolutamente  presa in considerazione dalle vittime”. Poi ci si mette il pudore, l’ostinazione a non voler ammettere il  bisogno di aiuto: “L’usura è vecchia quanto il mondo. Ma oggi più che in passato corrisponde anche a un’esigenza di segretezza. In una società che impone di apparire forti e sicuri, rivolgersi allo strozzino costituisce una possibilità di negare pubblicamente la propria difficoltà. E’un atteggiamento psicologico che ho riscontrato in molte vittime. Credono sempre di potercela fare da soli e cercano in ogni modo di riuscirci”.

Prima che si arrivi alla denuncia passa tantissimo tempo. A volte generazioni: “Talvolta sono i figli ad ereditare i debiti contratti dai padri. – continua il Pm – Questo rende ancora più difficile indagare e trovare riscontri per reati che sono iniziati dieci, persino venti anni prima. Le vicende che ricostruiamo rivelano sistemi complessi con la vittima che finisce per rivolgersi a più usurai per far fronte alle richieste sempre più pressanti di denaro”. La molla scatta quando si è toccato il fondo e non c’è via d’uscita. Nelle parole del magistrato è descritta come una vera e propria  resa. L’usurato, al modo di un alcolista o di un tossicodipendente, deve rendersi conto che ha bisogno di aiuto: “Le provano tutte prima, poi si rendono conto che non dispongono degli strumenti per tirarsene fuori. Spesso ciò accade quando sono anche altri membri della famiglia a esserne coinvolti”.

Oltre alle storie di vittime ignote, lettere e numeri su quei quaderni disegnano una carta geografica su cui gli strozzini giocano un Risiko che ha per obiettivo la conquista del territorio: “Alla lunga gli usurai pervengono all’esproprio delle imprese e delle attività commerciali ormai collassate a causa del debito – dice il magistrato -   L’usura determina così un circuito perverso che alimenta concrete opportunità di riciclare nonché di aumentare la propria visibile presenza sul territorio con effetto d’inquinamento e progressiva distruzione del tessuto economico sano”. Per contrastare questo effetto la legge consente oggi di confiscare tutti i beni dell’usuraio la cui provenienza risulti non giustificata. Ma il difficile resta incastrarlo: “Gli usurai sono spesso noti a tutti come tali, a volte vere e proprie figure storiche. Ma la legge li può perseguire a partire da circostanze precise e per quelle è necessario che la vittima contribuisca alla ricerca dei riscontri. Le denunce sono fondamentali. – conclude la Troncone - Negli ultimi anni sono aumentate grazie all’azione delle associazioni di imprese a sostegno delle vittime. Purtroppo sono ancora poche”.

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