La storia/1 “Gli insospettabili che aiutavano il mio strozzino”

“Tutto è cominciato per un investimento andato male: ottocento milioni di lire per creare un import-export di crostacei vivi. Dopo alcuni mesi mi accorsi che gli altri soci sfruttavano l’azienda per traffici poco chiari con Grecia e Tunisia così decisi di lasciare perdendo tutti i soldi. Ne uscii pulito, ma pieno di debiti”. E’ l’inizio per Domenico, imprenditore edile flegreo, di dieci anni da incubo nelle mani di uno strozzino. Toccato il fondo della disperazione ha denunciato e si è costituito parte civile in un processo ancora in corso a Napoli. E’disposto a raccontare a condizione dell’anonimato. La sua è una storia paradigmatica che evidenzia alcune costanti del rapporto usuraio.

L’inizio. “Era il 2001. Antonio, noto usuraio del paese, mi avvicinò offrendomi il suo aiuto. Sembrava disponibile e l’interesse che mi proponeva era accettabile: cinque percento al mese”. Al primo contatto lo strozzino appare amichevole e comprensivo. Domenico sa comunque a chi si sta rivolgendo, ne conosce la fama di personaggio temibile e violento, ma decide lo stesso di accettare l’offerta. “Ero con l’acqua alla gola e poi gli chiedevo solo settemila euro, sicuro di poter rientrare in breve tempo”. E invece in dieci anni quei sette mila euro iniziali gli costeranno 400mila euro.

Le intimidazioni. “Mi seguiva su ogni cantiere, appena ricevevo un assegno ero costretto a consegnarglielo. Quando i pagamenti dei clienti ritardavano li anticipava lui applicando ulteriori interessi. Così quella che era un’ulteriore estorsione di denaro si trasformava in un altro prestito. E non potevo rifiutare”. Intanto dai toni amichevoli iniziali si è passati alle minacce. Prima le richieste si fanno sempre più pressanti, poi si passa alle telefonate, e alle intimidazioni ai familiari. “Una sera entrò incasa con un fucile e lo puntò in faccia a mia moglie. Ripeteva che presto si sarebbe preso la casa”. Lo strozzino di Domenico dichiara il suo obiettivo. Come accertato da moltissime indagini nei rapporti usurai l’interesse sul prestito è solo il mezzo per prendere possesso di un’attività commerciale o di un bene patrimoniale.

La denuncia.“Dopo quel episodio decisi di rivolgermi ai carabinieri. Il giorno dopo Antonio mi chiamò ancora più minaccioso: cosa pensi di poter fare?, mi disse, ho amici in caserma, mi hanno raccontato tutto, non ci riprovare”. La denuncia di Domenico non avrà seguito, armi e fucili vengono ritrovati ma Antonio ha un regolare porto d’armi e lo strozzino racconta che la denuncia era scaturita a seguito di un litigio in cui era lui la parte lesa. “Non è stata l’unica volta. Quando la situazione diventava insostenibile mi rivolgevo alle forze dell’ordine. Le denunce però non avevano mai un seguito e dopo la condizione mia e della mia famiglia diventava persino più pesante”.  Negli anni le denunce dunque ci sono. Spesso sono parziali, per paura o per pudore. Ci si rivolge agli inquirenti quando si è esasperati e la documentazione dei fatti raccontati può essere lacunosa, insufficiente a chiarire il sistema estorsivo di cui si è vittima. Nel caso di Domenico ci si mette anche la diffidenza: “Da quel momento ho fatto denunce in posti diversi, sempre riferendomi a singoli episodi. Temevo gli agganci di Antonio. Oggi mi rendo conto che così facendo nessuno poteva capire quale fosse veramente la mia situazione”.

Le connivenze. Dopo le denunce lo strozzino decide di tutelarsi. “Mi costrinse a firmare una carta privata nella quale dichiaravo di aver ricevuto 45 mila euro, ponendo come garanzia di restituzione cambiali per un valore totale di 60mila euro. Regista dell’operazione il suo avvocato”. Oggi anche lui è imputato al processo. Ma non è il solo colletto bianco connivente in questa vicenda. “In Banca comandava lo strozzino. Sembrava muoversi tra gli uffici come se fosse a casa sua. Davanti allo sportello nello stesso momento in cui ricevevo gli assegni, ne depositavo altri per un valore equivalente sul suo conto. Il direttore rimase impassibile. E così ogni volta che pagavo. Per ricostruire il mio dramma sarebbe bastato un semplice accertamento bancario”.

La solitudine. “A quel punto ero rassegnato. Intorno a me il vuoto. I fornitori che intanto non riuscivo a pagare si facevano sempre più pressanti. Uno di questi, un amico, mi disse che lui avrebbe potuto aspettare per i suoi 5mila euro, ma non poteva perché era stato Antonio ad imporglielo”. E’ lo stesso usuraio a creare le condizioni perché la situazione di Domenico precipiti. Esercita pressioni su imprenditori e clienti. Vi riesce perché sono in tanti a essere terrorizzati da lui. In realtà è sì un pregiudicato, ma da quanto emerso nelle indagini il suo spessore criminale non è all’altezza della fama di cui gode. Le dimensioni ridotte del piccolo comune flegreo fanno da cassa di risonanza e lo agevola una sorta di suggestione collettiva.

La svolta. “Oggi ne sto venendo fuori, quasi per caso. Mia moglie distrutta ha chiesto aiuto alla chiesa che a sua volta ci ha indirizzato verso un’associazione di sostegno alle vittime di usura. Grazie a loro sono arrivato finalmente al processo. In aula le cose non si stavano mettendo bene, avevo portato pochi riscontri. Poi durante la mia testimonianza mi è scattato qualcosa ed ho cominciato a raccontare tutto senza freni. Avevo percepito che quella fosse l’unica chance. E il magistrato sta verificando in tutto le cose che ho detto”. Ora Domenico ha ricominciato a lavorare, anche se con grande difficoltà e sta cercando di accedere ai fondi di sostegno per le vittime. “E’una strada in salita, ma finalmente sono tornato a respirare”.

L.R.

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