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Martedì 23 Aprile 2024




Le comunità per minori

le-comunitaNel primo semestre 2011 in Italia i collocamenti in Comunità sono stati 968, nell’Italia meridionale 380. Il principale motivo del collocamento in comunità è stato l’applicazione della specifica misura cautelare prevista dall’articolo 22 del D.P.R. 448/88. Ma sono pochissimi i minori che iniziano un percorso di recupero in una comunità di area penale, della durata media di 3- 4 mesi, disposto come misura cautelare, lo prosegua nella stessa comunità dopo la sentenza definitiva. La reale efficacia a lungo termine del lavoro delle comunità può essere messa in discussione.

“L’efficacia dell’intervento della comunità sulla crescita di un minorenne non si può misurare. La comunità tenta di agire nelle percezione che hanno della vita. In generale i ragazzi che entrano in comunità hanno una visione bipolare: da una parte ci sono loro e dall’altra lo Stato e le forze dell’ordine. Noi dovremmo riuscire a fare capire che c’è una terza possibilità.” Vincenzo Morgera, presidente dell’Associzione Jonathan, non nasconde le difficoltà: “l’anello finale di tutto questo dovrebbe essere l’inclusione socio lavorativa, ma in un territorio come quello di Napoli e della Campania, in cui trovare lavoro è per tutti un’impresa, per persone che da minorenni hanno avuto a che fare con la giustizia lo diventa molto di più. Noi tentiamo di creare un collegamento tra il tessuto sociale ed i ragazzi, grazie ad esempio a contatti con la CARITAS, a corsi formativi e di inserimento lavorativo, ma non tutte le comunità lo fanno.”

L’80 percento, dei collocamenti nelle Comunità avviene nelle strutture del privato sociale, il restante nelle comunità dell’amministrazione della Giustizia. Negli ultimi anni a Napoli e in Campania sono state chiuse diverse comunità da parte degli organi ispettivi. I requisiti abitativi e la messa a norma delle strutture sono sempre regolari. “Tra i motivi della chiusura delle comunità di area penale quello principale è la presenza di personale che non ha conoscenze adeguate per aiutare quel tipo di minorenne; nell’area civile è la mancanza di progetti educativi mirati.” - spiega Giovanna Cipolletta, Assistente Capo, P.G. Ufficio Sezione Istituti Procura per i Minorenni di Napoli.

In alcuni casi, anche in presenza di personale competente, non si riescono a gestire alcune relazioni con e tra ragazzi problematici. Alessandra Rossi, vicedirettore della comunità pubblica di Nisida conferma che gli attriti tra i ragazzi sono alcune volte potenzialmente pericolosi: “Circa due anni fa avevamo accolto due ragazzi particolarmente turbolenti, si avvertiva un rischio di violenza, era una situazione molto difficile da controllare. La magistratura dovrebbe fare molta attenzione a queste situazioni individuali quando le segnaliamo, e dovrebbe cercare di evitare la possibilità che insorgano episodi pericolosi, sia quando deve valutare un eventuale collocamento in comunità, sia, soprattutto, in istituti penitenziari, dove potrebbero avvenire attriti e violenze tra ragazzi”.

Separazione comunità di area civile e comunità di area penale

La questione sull’opportunità di separare le comunità di area civile e quelle di area penale è aperta. Secondo il presidente del Tribunale dei minorenni di Napoli Gustavo Sergio separarle è una scelta obbligata : “ogni problema deve trovare la giusta terapia: se ho una patologia al cuore vado in reparto di cardiologia, se ho un problema alle ossa in un altro reparto. Questo deve valere anche per il genere di reati che si sono commessi: un ragazzo che ha commesso un piccolo reato non può avere lo stesso trattamento di un ragazzo che ha imbroccato la carriera criminale.”

L’Associazione Jonathan ha compiuto una sperimentazione sulla separazione tra comunità, e, pur rimarcandone i lati positivi, Vincenzo Morgera mette in evidenza il rischio che, come da circa tre anni si sta verificando, vengano avviate molte comunità, poco specializzate, “solo nell’area penale perché costituirebbe un settore economico più vantaggioso: il Ministero ha tempi di pagamento più celeri rispetto agli enti locali.”

La comunità per minorenni di Nisida

A Nisida, oltre all’IPM, è attiva una comunità pubblica, per minorenni di area penale; vi lavorano 3 dipendenti pubblici e 8 operatori della cooperativa Il Quadrifoglio, con compiti di assistenza e sorveglianza. Le attività per i ragazzi sono individualizzate, variano dal recupero scolastico a corsi formativi, tra cui quelli di scenotecnica, fotografia, cucina e ceramica, svolti all’interno del progetto Nisida Futuro Ragazzi. Sono attivi protocolli con La Città della Scienza, con la Federazione Italiana Nuoto, e con L’Associazione Life, che ha avviato il corso Scugnizzi a vela. Finora solo uno dei ragazzi è stato assunto, a tempo determinato, come elettricista alla Città della Scienza. Anche il volontariato, ad esempio con la CARITAS, rientra nel piano delle attività.

Nella comunità si incontrano ragazzi che hanno commesso reati lievi con ragazzi che arrivano da Nisida, ad esempio per sospensione della misura cautelare. “Capita che la cultura deviante di alcuni prevalga sugli altri. Noi, quando possibile, tentiamo di far trasferire chi ha commesso reati lievi in strutture private, che, rispetto alle strutture delle comunità pubbliche di sola area penale possono risultare per il minorenne meno pesanti da sopportare.” – dichiara Alessandra Rossi, vicedirettrice della comunità di Nisida, ruolo ricoperto dopo aver lavorato per anni nell’IPM di Airola, e poi in quello di Nisida. “Da una decina d’anni abbiamo rilevato che il disagio psichico è in aumento. Vent’anni fa trovavamo in un IPM molti ladri di polli, quelli che rubavano per mangiare. Oggi non succede più, rubano per le scarpe firmate, per oggetti di lusso. – spiega la dottoressa Rossi - C’è un vuoto culturale assoluto: può sembrare retorica, ma per loro l’avere è più importante dell’essere. Non hanno la cultura del sacrificio, in famiglia li si accontenta con i beni materiali. Da una decina d’anni il disagio psichico è in aumento. Anche i livelli di istruzione sono bassissimi: spesso i ragazzi non capiscono quelle 4 o 5 parole necessarie a comprendere l’intero discorso.” Sandro Forlani, direttore dell’IPM di Nisida dal 1983 al 1995, direttore del dipartimento di Giustizia Minorile della Campania fino al 2011, e ora attivo come volontario un giorno a settimana nella comunità di Nisida, confronta i periodi storici: “i ragazzi in apparenza apparivano più irrequieti anni fa. In realtà quelli di oggi mi sembrano più instabili emotivamente.”

Nonostante le difficoltà Alessandra Rossi racconta che con i ragazzi si crea nei mesi un rapporto meno filtrato, affettivo. Il problema è la permanenza spesso troppo breve. Alcuni di loro tornano dopo la fine della pena in comunità con fidanzate e mogli per salutare il personale.

DP

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