Il cambiamento: questione di esempi

mario-gelardi-e-alessandro-galloAl di là di mille parole l’unica lezione di cambiamento è quella dell’esempio concreto e coerente che parte dai gesti più semplici e passa per le emozioni. Il parere è di chi a Nisida ci lavora da anni: “Noi veniamo qui malati, abitiamo lontano” racconta l’insegnante Maria Franco. “Dobbiamo fare sacrifici ma essere sempre presenti e puntuali. E loro questo lo capiscono e ci chiedono con ammirazione: professoré, non vi ammalate mai?”.

Lo scrittore “fuoriuscito”

Nella lezione del laboratorio di “politica” cui assistiamo i ragazzi incontrano Alessandro Gallo, scrittore e regista teatrale, autore di Scimmie, che ha un’esperienza di vita per alcuni versi vicina a quella dei minori detenuti. Gallo, figlio di un camorrista-colletto bianco in galera, ha scelto una vita diversa da quella familiare (la cugina soprannominata “Nikita” è uno dei killer di camorra più temuti, 44 anni, di cui25 in galera). Ai ragazzi come Raffaele che dicono: “Pure se esco di qua, come faccio a campare con 500 euro al mese?”, risponde: “Io lavoro come operatore sociale nelle scuole, realizzo laboratori di teatro su temi affrontati dal giornalismo d’inchiesta, faccio volontariato in carcere, e sono comunque precario, ma mi guadagno da vivere onestamente”.

Il ruolo della madre

Spesso è la madre a decidere un futuro diverso per i figli, secondo Gallo: “Io devo tanto a mia mamma. Se la donna si dissocia dalle azioni del marito ci sono buone probabilità che anche i figli lo facciano. Certo devono anche trovare delle opportunità di lavoro. Tutto ciò che facciamo una volta fuori può essere raso al suolo in nulla. Nel carcere minorile di Bologna, dove organizzo dei corsi di teatro e scrittura giornalistica come volontario, alcuni ragazzi ci pregano: “Non è che ci puoi far stare un altro po’? Perché fuori non c’è nulla e sanno che se escono finiranno di nuovo nello stesso giro”.

Tra i “maestri” familiari di vittime della camorra

Insegnati esemplari sebbene non di ruolo sono alcuni membri del Comitato campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità organizzata che, insieme all’Associazione Libera e al Marano Ragazzi Spot Festival, ormai da alcuni anni hanno adottato simbolicamente i ragazzi di Nisida, partecipando ai cineforum, realizzando tavoli di discussione o semplicemente trasmettendo la loro esperienza di vita. “Di solito i ragazzi si disinteressano della vittima - dice il vicedirettore - con alcune di queste persone si è creata un’empatia che ha rappresentato una scossa emotiva incredibile per i ragazzi, tanto che anche dopo essere usciti dal carcere hanno mantenuto con loro dei legami”. Uno dei frequentatori più assidui di Nisida è Bruno Vallefuoco, papà di Alberto, ucciso insieme a 2 amici perché scambiati per i componenti di un clan avversario a quello dei killer. Viene a Nisida dal 2008 perché si è reso conto che il suo dolore “poteva servire a qualcos’altro. Volevo offrire il mio contributo affinché ci fossero meno vittime innocenti. Quando c’è stata la lettura della sentenza del processo per Alberto mia moglie è svenuta. Ha capito che non serviva a nulla aver vinto. Sono venuto qui per capire cosa c’è dall’altra parte e ho scoperto una verità sconcertante: non ci sono vittime o carnefici. C’è solo la banalità del male. Ci sono tanti giovani che, se posti davanti a prospettive diverse, forse non avrebbero fatto quelle scelte. Noi siamo responsabili per tutti coloro sono qua dentro”.

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