| SEGUICI SU seguici su Facebook seguici su Twitter youtube
venerdì 29 Marzo 2024




La scuola: “La lezione più difficile? Imparare di nuovo come si sta tra gli altri”

la-scuola“Tenevano le facce verdi, mi dicevano sempre di no e mi buttavano fuori dalla classe”: questo ricorda della scuola di “fuori” Salvatore, oggi ex detenuto di Nisida. E come lui sono in tanti a ricordare la scuola conosciuta prima di arrivare “dentro” come una scuola che esclude, emblema di una società e di uno Stato percepiti come nemici incapaci di porsi come alternative credibili ai loro occhi. Paradossalmente è proprio a Nisida che tanti detenuti imparano ad amare lo studio. Fuori o dentro non cambi niente: la frequenza scolastica è obbligatoria. Sono garantite la scuola elementare e media tutti i giorni. Quando il ragazzo ha già la licenza media può frequentare i corsi che forniscono crediti formativi per le superiori.

Gli incontri. Maria Franco, professoressa di italiano di stanza a Nisida, è paladina di una missione che giorno dopo giorno diventa “possibile”: insegnare ai ragazzi la bellezza della vita attraverso la letteratura, la storia, la poesia, i film. Da qualche anno realizza il lavoro “Nisida parco letterario”: una percorso arricchito dalla presenza durante l’anno di scrittori che arrivano qui per scrivere una storia sul carcere e sull’isola insieme ai ragazzi. L’insegnante di italiano coordina anche il laboratorio di “politica” che si svolge nell’aula intitolata a “Roberto Dinacci”, assessore puteolano deceduto per un incidente stradale non ancora trentenne che incontrava i ragazzi di Nisida per trasmettere loro una visione positiva dello Stato. “Roberto ci ha aperto la strada per far incontrare ai ragazzi con politici, ma anche con scrittori, attori e personaggi pubblici che vengono qui a prospettare modelli di vita diversi da quelli camorristici”, racconta il vicedirettore Ignazio Gasperini.

Conoscere e parlare con chi viene da fuori è motivo di curiosità e stimolo, allo stesso tempo quella di “politica” si configura come una lezione di vita difficile da trasmettere. Alla lezione, cui assistiamo, partecipano una trentina di ragazzi, solo in quattro prendono la parola esprimendo la loro opinione sulle scelte di vita, sullo Stato, sul futuro. Gli altri restano in silenzio. Si sentono separati, ci spiegano, divisi  da un muro tra mondi diversi, anche le basi linguistiche all’inizio costituiscono un ostacolo.

“Andavo a scuola solo per fare filone”, ricorda Andrea, 20 anni, dal2009 a Nisida: “Chi andava a scuola non era apprezzato, era un soggettone. Ma me ne sono pentito. Qui mi sono reso conto che la scuola è fondamentale, non per avere un titolo di studio, ma per la cosa banale di confrontarmi con le persone. Ora mi metto ‘scuorno’ perché non mi so esprimere”. Una coscienza che alcuni hanno maturato ancor prima di finirci, a Nisida: “La maggioranza dei ragazzi, anche quelli convinti di voler cambiare vita, ti dicono che la loro scelta non la ‘spunta’, ma comunque gli sembra più conveniente”, dice il vicedirettore proprio mentre il giovane Raffaele sfida gli insegnanti. “Voi riuscite a dirci del negativo di stare dalla parte della mafia, ma non riuscite a dirci nulla sulla positività di stare dalla parte dello Stato”.

A volte la separazione si fa stridente, quasi intollerabile agli occhi di chi non è esperto. E potrebbe essere bollata come insuperabile: “Al cineforum abbiamo visto Fort Apache e giunti alla fine i ragazzi hanno iniziato ad acclamare i camorristi che uccisero Siani. La maggior parte di loro non si è immedesimata con il giornalista ma con gli assassini - racconta la professoressa Franco - ma non possiamo permetterci di spaventarci, di non insistere, i risultati vengono solo con il lavoro”.

Cambiare strada viene visto come un oltraggio, sia fuori che talvolta dentro in carcere. “Per farmi apprezzare dai ragazzi più grandi, per entrare pure io nella società, ho iniziato a pippare e a fare le rapine”, racconta Andrea, che è stato dipendente dalla cocaina dai 15 anni. “Spesso - conferma la psicologa Monica Tedesco - il problema fondamentale è che i ragazzi sentono di dovere ripudiare le scelte del gruppo familiare e amicale di appartenenza per cambiare strada”. Il fatto che i ragazzi abbiano il padre in carcere, fa addirittura mitizzare la figura paterna. “Un ragazzo di 15 anni mi ha sconvolto dicendo: mio figlio una delle prime cose che deve imparare è di vivere senza il padre, perché io sto in galera e poi muoio”. Molti pensano che essere felici significhi avere beni materiali, non affetto perché è esattamente questo che hanno appreso”, spiega Mario Gelardi, scrittore e drammaturgo, regista dello spettacolo teatrale Gomorra che quest’anno ha intrapreso con i ragazzi un laboratorio di scrittura teatrale. “Uno dei ragazzi molto intelligente e molto razionale - racconta a questo proposito il direttore Guida - Si è posizionato al centro. Lui sa che non vuole stare da quella parte, ma non se la sente di voltare le spalle per ‘onore’, non vuole essere ‘contro’ perché il sistema ha sostenuto lui e la sua famiglia”.

Due sembrano le questioni fondamentali che si pongono questi adolescenti già segnati da scelte spesso irrazionali nel momento in cui imboccano il lento percorso del cambiamento. La prima pratica: uno Stato che gli dia l’opportunità di guadagnarsi da vivere e dunque di rinunciare al crimine; la seconda molto più profonda e più inconscia: cambiare vita senza perdere il legame affettivo e “morale” con la famiglia. Dietro ogni volto una storia personale che a Nisida va riveduta e riscritta lentamente: c’è chi tornerà a delinquere, chi è solo all’inizio del percorso, chi è “al centro” e chi ha già scelto di cambiar vita. Ad ogni costo.

A.d.G.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

agendo 2023 banner
Prenota la tua copia inviando una e-mail a comunicazione@gescosociale.it
tiSOStengo
unlibroperamico
selvanova natale 2020 banner
WCT banner
gesco 30 anni
napoliclick
Amicar banner 500

Archivio Napoli Città Sociale