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Martedì 23 Aprile 2024




Una città dentro il carcere: “Noi studiamo i ragazzi e i ragazzi studiano noi”

ignazio-gasperini-e-monica-tedescoUn vicedirettore che “non smetterà mai di essere anche educatore”, 5 educatori, una psicologa, 8 insegnanti e circa 80 tra guardie carcerarie, autisti, personale amministrativo, più tutti i volontari di associazioni e cooperative che apportano il loro preziosissimo contributo per formare e stimolare i ragazzi. Nisida è una piccola città dove vigono regole ferree, ma dove la parola d’ordine è accoglienza.

Gli operatori del trattamento

Quando il ragazzo entra nell’IPM (Istituto Penale Minorile) viene preso in carico dall’educatore incaricato di elaborare un progetto di intervento e trattamento e ha un primo colloquio con la psicologa. Gli educatori e la psicologa sono punti di riferimento certi che seguono i ragazzi attraverso tutto il percorso carcerario. Arrivare in un carcere per un ragazzo è un’esperienza traumatica, per questo il primo incontro con uno psicologo per i ragazzi è obbligatorio innanzitutto a scongiurare possibili gesti di disperazione, tra i quali anche la possibilità di tentativi di suicidio. Negli ultimi anni ci sono stati un paio di tentavi che il direttore Guida inquadra piuttosto come atti dimostrativi: “Non credo ci fosse la volontà reale di mettere fine alla propria vita, quanto di attirare l’attenzione su di sé”.

Lo spazio dello psicologo è un luogo protetto

Qui si possono esprimere liberamente. La reazione più frequente al primo impatto è il pianto o la rabbia. “Si inizia a lavorare sulla motivazione e sulla fiducia perché nessuno di loro ha scelto né questo luogo né lo psicologo”, racconta Monica Tedesco psicologa a Nisida dal 2002, dov’è arrivata dopo aver lavorato per 5 anni all’IPM di Milano. “Spesso durante questi incontri si scopre un disagio pregresso e il carcere rischia solo di amplificarlo. In molti casi si tratta di difficoltà relazionali e di gestione delle emozioni”. Da qui la necessità di ricostruire un quadro più ampio, comprendere il contesto, le difficoltà, i traumi: “Sarebbe a tal fine molto utile lavorare insieme ai familiari: l’adolescente in quanto tale non può essere considerato al di fuori della realtà familiare, ed è fondamentale per il buon esito trattamentale” - spiegano i membri dell’équipe - “ma questo non avviene nella maggior parte dei casi perché le famiglie non si rendono disponibili”.

Il trattamento si basa su due percorsi

Uno generalizzato per tutti gli IPM presenti sul territorio che fa capo al dettato legislativo: la scuola, la formazione professionale, le attività sportive e, contrariamente ad un istituto per adulti, queste sono attività che effettivamente si fanno e vengono offerte a tutti i ragazzi. Poi c’è un progetto individualizzato che fa riferimento alle risorse e ai bisogni dei singoli sul quale l’operatore, insieme alla psicologa e all’assistente sociale esterna, predispongono un programma di trattamento specifico che fa leva sui bisogni individuali per trasmettere ai ragazzi un modello diverso da quello che li ha condotti al carcere. Praticamente si insiste sull’utilità personale oltre che sulla necessità morale di fuoriuscire dal sistema criminale.

Equilibrio

“Sentendo le loro storie che sono pesanti, terribili devi avere quella lucidità di metterle da parte e lavorare con persone che comunque sono in difficoltà e hanno bisogno di aiuto”, racconta Ignazio Gasperini, neo vice direttore ed educatore a Nisida da 20 anni. “Per fare questo lavoro devi avere delle doti che non ti dà nessuna laurea e nessun manuale – continua - Occorre equilibrio: lavorare sgombro da pregiudizi. Tanti colleghi hanno avuto difficoltà nella relazione con i ragazzi. Così come noi studiamo i ragazzi, i ragazzi studiano noi e se si accorgono che hai pregiudizi nei loro confronti questo non ti aiuta a instaurare una relazione positiva per lavorare in maniera efficace”.

La recidiva

La relazione con l’équipe si costruisce lentamente: “Il nostro unico alleato è il tempo - dice ancora Gasperini - più a lungo i ragazzi restano a Nisida più abbiamo tempo per lavorare con loro e maggiori sono le chance che imbocchino una strada diversa una volta usciti”. Il vice direttore, esortato a fare una statistica di quanti una volta usciti non cadono nella recidiva e  si reinseriscono, dice “1 su10”ma poi ribatte: “sono tante le variabili in gioco, che non è possibile parlare di numeri”. Pesa sull’efficacia degli interventi anche una squadra ridotta, un educatore ogni 15 ragazzi, una sola psicologa, un’assistente sociale esterna della Asl. Questo stabiliscela Aslcon il passaggio di competenze in materia sanitaria e del trattamento in carcere alla Regione (D.P.R. 230/00).

La carenza di figure tecniche all’interno della struttura carceraria, come gli psichiatri, rende difficile la gestione di minori detenuti con problematiche specifiche quali disturbi psichiatrici o tossicodipendenze. Non esistono infatti in Campania strutture che ospitano i ragazzi con questi disturbi e i centri privati non sono di buon livello. “In questi casi - spiega il direttore Guida -  siamo supportati da medici competenti inviati dalla Asl e dal Sert, ma si tratta sempre di figure esterne all’IPM”.

Adg

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