Un medico napoletano tra i poveri dell’Etiopia

Elvira Gentile racconta l’esperienza della sua onlus “Taking up from here”

elvira-gentileFornire assistenza medica nelle regioni etiopi più povere. L’idea alla base di Taking Up From Here nasce dall’incontro tra la  dottoressa Elvira Gentile, titolare di una farmacia in via Duomo  a Napoli, e la suora missionaria Aurelia Suriano : “Sin dal primo viaggio in Etiopia mi innamorai della gente: vivono ogni attimo pienamente, ottimizzano il presente, vivono il dolore in silenzio. La civiltà etiope è esemplare” .

L’esperienza inizia nel 2006. Da subito l’area di intervento è stata individuata nelle città comprese nell’area del Tigray (Shire – Endaselassie, Axum, Adua, Adigrat, Mekelle), tra le più povere del Paese. L’intera zona versa in condizioni igienico sanitarie degradate, sono diffuse malattie endemiche e infettive. E non ci sono  strutture per fronteggiare l’emergenza: il solo ospedale  di Shiret deve rispondere al bisogno di cure di circa 2 milioni di persone e gli unici ospedali con reparti di chirurgia sono quelli di Axum e Mekelle.

Serve innanzitutto formare personale medico specializzato. Così  d’intesa  con il Ministro del Tigray Health Bureau e il Vescovo della Diocesi Cattolica di Adigrat, l’associazione ha realizzato il  centro di formazione medico-sanitaria presso l’ospedale Suhul di Shire-endaselassie.  Medici e infermieri si occupano principalmente di diagnostica e cura di patologie tiroidee, oltre ad avviare campagne di prevenzione e di screening neonatale.

TUFH sostiene anche la Comunitàdelle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret a Shire-Endaselassie. La Comunità nel 2005 si poggiava sul lavoro di solo due suore, Suor Reine Youssef e Suor Costanza Colace, ed era ospitata pressola Parrocchiacattolica locale di Padre Hagos Melles.La   Clinicadi Santa Agostina, negli anni, anche grazie alle donazioni di sostanze farmaceutiche e attrezzature mediche, è diventata un centro di riferimento per la popolazione di Shire-Endaselassie e dei pazienti provenienti da altri centri e villaggi abitati.

Lavorano su un terreno molto difficile, ma nel tempo l’esperienza è cresciuta. E in cinque anni dall’inizio sono tante le storie a lieto fine che la dottoressa Gentile può raccontare. Tra queste quella di Kibram. Un ragazzino di 11 anni, affetto dalla nascita da estrofia vescicale. La patologia gli aveva impedito di andare a scuola, e lo aveva costretto a trascorrere la quasi totalità della sua vita nel chiuso della capanna. “Stavo per partire per l’Italia, e conobbi Kibram, molto più minuto e basso di un bambino della sua età. La tristezza vista negli occhi di quel bambino mi è penetrata dentro, e al ritorno in Italia avvertivo un senso di colpa che non mi dava pace. Decisi di fare in modo che il bambino fosse operato.” 

E per riuscirci ha investito di richieste medici, volontari e persino ministri. Per cominciare sono stati attivati i contatti in Etiopia con la famiglia del bambino, poi con il parroco della chiesa cattolica locale per arrivare al il Vescovo della Diocesi Cattolica di Adigrat. Per finire al ministro della Salutedel Tigray che attraverso l’intermediazione del Black Lion Hospital di Addis Abeba,  ha dato l’autorizzazione a far operare il bambino nel nostro Paese.

In Italia hanno accompagnato il bambino la madre e il Dr. Belechew Dejene del Black Lion Hospital. L’intervento è stato eseguito dal dottor Paolo Caione del Presidio Ospedaliero Bambin Gesù di Roma, ed è perfettamente riuscito. Al dottor Belechew  la Direzione Sanitariadell’OPBG ha concesso di frequentare per due settimane l’U.O. Chirurgia Urologica dell’Ospedale per un aggiornamento professionale e nell’occasione di essere presente all’operazione del bambino. Il dottor Belechew al suo ritorno ha iniziato ad operare bambini affetti da vescica estroflessa. Kibram ora vive in una casa, e non più in una capanna;  ha frequentato la prima elementare e le insegnanti ne lodano intelligenza e impegno.

La dottoressa Gentile spiega che grazie all’esperienza che lei sta vivendo in Etiopia ha imparato a prendere la distanza dai problemi quotidiani che incontra in Italia. E per questo ritiene che farebbe bene a qualsiasi persona, soprattutto se italiana, vivere per un po’ di tempo in Etiopia. Dove la povertà è diffusa, le condizioni sanitarie precarie, ma dove – sottolinea la dottoressa – la qualità della vita da alcuni punti di vista è superiore: “Lì la gente muore per l’influenza, ma hanno corpi agilissimi, camminano tantissimo. Qui in Italia si diffondono sempre più l’obesità, le malattie mentali; lo stress è un male atroce, aumentano gli infarti anche tra i giovani. I farmaci che vendiamo di più sono quelli per l’ulcera. Una differenza significativa che viene messa in luce riguarda il modo di vivere l’infanzia: “In Etiopia i bambini sono più creativi, costruiscono i biliardini con una scatola di cartone, come si faceva in Italia anni fa . E ti accolgono sempre con il sorriso, sono contenti con poco.”

Per informazioni : http://www.takingupfromhere.it/

Daniele Pallotta

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