Racconti di viaggio

Vittorio Russo ci racconta il suo viaggio nell’Oriente più povero

vittorio-russoSono tornato l'altro giorno dall'avventuroso viaggio in Tibet, Nepal, e prima dall'India poverissima e per ultimo da una Cina fuori dai circuiti del turismo. Una grande esperienza, straordinaria, di cui le centinaia di foto che ho preso rendono solo una vaga testimonianza.

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Quello che pesa in quella parte del mondo è l'incubo di una povertà immane, nelle città come nei villaggi dove il tempo più prossimo a quello reale è il medioevo. La vita è fatta di cose ed eventi essenziali: la luce, il buio, gli attrezzi rudimentali del lavoro dei campi, gli odori che si sovrappongono, i colori uniformi della terra opaca e polverosa conditi solo dall’azzurro eccessivo di un cielo visto dai quattromila meli di altitudine media di lì. E poi la promiscuità, come da noi secoli fa, promiscuità di uomini e animali, di persone dai volti neri delle screziature di un sole che colpisce con violenza, senza il filtro del pulviscolo delle basse quote. Gli animali nelle stalle buie al livello della strada, le abitazioni anguste e scure al primo piano, la cucina in alto, sotto i tetti di paglia cui sono sospese trecce di agli in serti lunghi e polverosi. La cucina sotto i tetti per smaltire il fumo dello sterco di mucca disseccato che serve da combustibile, attraverso la paglia che funge da copertura. Le strade sono invase dai rifiuti e dai rigagnoli verdi dei liquami umani e animali e in mezzo, intorno, dappertutto, fra bambini che si rincorrono vociando seminudi, testimonianze di fede, vere opere d'arte religiosa, strabilianti, scolpite nella pietra più umile e nel legno che il tempo disfa e fa subito antico senza passare per la gradazione del vecchio.

Commuove ed esalta la sconfinata spiritualità che anima i popoli di qui. Fede che diventa credulità cieca, esaltazione, quasi malattia, spesso amplificata da un entusiasmo fanatico in mezzo all'asfissiante fumo di erbe profumate che ardono nei bracieri di pietra nei templi, davanti agli altari di Buddha e di Shiva Bhairava. Senza parzialità. Gli  idoli degli dèi sono neri di mille offerte, sono consumati dalle manate di devote preghiere, dalle offerte di burro di yak, dal fumo, dai chicchi di riso, dai petali di gelsomini, da fiori colorati di cùrcuma, dal sangue dei sacrifici di animali, dai veli bianchi offerti fra preghiere di pianto e di ringraziamento. Per la vita, per la morte, per tutto. Qui si ringrazia Dio per ogni cosa, sempre, alla maniera di san Francesco. E si muore ringraziando gli dèi e bruciando i cadaveri lungo il corso di un rigagnolo, poco lontano da Kathmandu, il Bagmati, sacro all’Induismo e dalle acque putride di morte e di cloaca, affluente del prossimo sacrissimo Gange. Hai nel naso questo odore nauseabondo di burro che sfrigge per alimentare milioni di stoppacci che bruciano davanti agli idoli e questo odore di morte, di cose stantie, sporche. E mille fumi di incenso, di canfora, di sterco e gli scampanii, i suoni di piccole campane a risvegliare gli dèi dal loro torpore, per richiamare la loro attenzione sulla vita umana che scorre nel dolore della vita e della morte. Che qui sono tutt’uno. 

Quanta esaltazione e quanta pure l'aggressione della modernità che avanza in fretta e sconvolge e spazza via quella semplicità di vita che era la cornice più autentica della vita della gente. Si aggiunga a questo la corruzione e la violenza politica che viene dalle prevaricazioni cinesi per il Tibet e dalla strisciante guerra civile che attanaglia il Nepal, ormai da anni.

Mi è rimasta impressa l'arte religiosa di tibetani e nepalesi. L’intaglio nel legno come un ricamo intricato che si manifesta nelle intelaiature delle finestre, delle porte scolpite come marmi di cantorie rinascimentali fiorentine, degli altari, degli idoli di legno dei trecentotrentamilioni dèi dell’induismo… Un'arte che si narra come in uno sfogo di patologia, come un'esaltazione fideista nella quale si stratifica l'ingenuità dell'idolatria e, come ho detto prima, della superstizione.

Vittorio Russo

Vittorio Russo Capitano di lungo corso, è giornalista, scrittore e autore di saggi e racconti. Ha pubblicato ricerche e studi sulle origini delle religioni e del Cristianesimo tra cui Introduzione al Gesù storico (1977) e Il Gesù storico (1978), che gli è valso il Premio Monteca­tini 1980 per la Saggistica. E’ autore di antologie narrative: La decima musa (2005), una raccolta di racconti informati alla poesia del mito da cui è stato ricavato un audio-libro (Premio speciale per la tematica “Il Convivio” 2007); Enigmi e follia dei numeri (2008) in cui l’autore si cimenta con il genere ironicamente ce­re­bra­le avvalendosi di una scrittura svelta e ricca di sonorità; Fantasie e viaggi immaginari (2009), una serie di racconti di viaggio, spesso surreali, attraverso spazi e tempi sfumati.

Viaggiatore appassionato, Vittorio Russo ha redatto opere che intrecciano esplorazione geografica, antichi miti e ricostruzione storica, tra le quali India mistica e misteriosa (2008) che gli è valso il premio letterario L’Autore 2007, Sulle orme di Alessandro Magno (2009), nato da un viaggio in Asia Centrale alla scoperta di eventi meno noti del grande Macedone in geografie inusitate e Quando Dio scende in terra (Sandro Teti Editore 2011) con Nota Introduttiva e Prefazione di di M.Craveri e M. Geymonat. L’India nel cuore, ultimo lavoro di V.Russo, “è il diario di un viaggio che accarezza l’anima del lettore”, come ha scritto Alberto Bevilacqua, e “un taccuino di emozioni che diventa romanzo di un mondo imprendibili e un saggio ricco di annotazioni storiche e geografiche” (La Repubblica). Dal libro sono tratti due video (non in vendita) A Varanasi e Volti e colori dell’India (vedi: ttp://www.youtube.com/my_videos - www.vittoriorusso.eu - http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Russo_(scrittore))

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