“La città delle donne, oggi!”, il documentario a Napoli

Sala gremita per la proiezione nella Notte dei Musei.

cittadonne-frameForti, libere, donne che hanno combattuto per il diritto di essere se stesse, indipendenti dal giudizio altrui, diverse. Ma se il permesso che continuiamo a non concederci e che il mondo non ci concede è quello ad essere imperfette? "La citta delle donne, oggi!”, il film-documentario di Chiara Sambuchi proiettato per la Notte dei Musei 2013 ci pone questo interrogativo.

Labbra piene, corpi sodi, bellezza uniforme: è questa l'immagine della donna presentata dai media e dalla moda. Le parole “Ogni donna è bella, ogni donna è giovane! Amo le mie rughe e non ho paura di invecchiare!" gridate e cantate insieme da decine di figure femminili in una scena del film "La città delle donne" di Federico Fellini da cui è nata l'idea di questo documentario, hanno ancora senso? Era il 1981, siamo nel 2013: questi anni sono bastati per aver la necessità di aggiungere l'avverbio di tempo, e portarci nuovamente alla riflessione attraverso le vite di quattro figure femminili italiane che hanno una biografia strettamente legata al corpo. Per capire perché, 30 anni dopo il film di Fellini, l'immagine della femminilità in Italia sia così profondamente cambiata.

Nella sala del  Monumento Nazionale dei Girolamini di via Duomo 142 non c'è più un posto a sedere per questo evento realizzato con l'associazione culturale di promozione sociale "Le Kassandre". Sullo schermo, le storie di Mary che vorrebbe fare l'attrice di teatro ma è costretta a vivere con pubblicità di completini sexy e, a 29 anni, pensa all'inseminazione artificiale. Quella di Claudia, più conosciuta se accanto le si mette il cognome, Koll, che ha raggiunto il successo facendo spettacolo del proprio corpo, ma che oggi cerca se stessa con un cammino radicalmente opposto. Katia, cubista, ex coinquilina di Ruby, pensa di approfittare della fama che le è derivata dallo scandalo, eppure non sa come spiegare la sua infelicità ne quale ne sia la ragione, perché è troppo difficile dire a se stessa che la gabbia, quella vera, è fatta di carne, di muscoli, di bellezza.  Marina, invece, è una ginecologa, impegnata, cosciente, e ne "La città delle donne" c'era davvero, come figurante:  interpretava se stessa. Vestiva, in scena gli zoccoli, la gonna e gli ideali che continua a portare, che non vuole e non sa dismettere neppure quando spiega: “ne uccide più la violenza domestica che il cancro alla cervice uterina, per cui faccio il test tutti i giorni”.  La regista Chiara Sambuchi ha incontrato tante donne nel corso del suo lavoro, lungo l'Italia, alla ricerca di una voce che potesse dare risposta alla domanda più semplice e angosciosa di tutte: “perché?”. L'ha chiesto alle "nuove femministe" di "Se non ora quando", a Franca Sozzani, direttrice di Vogue, a una chirurga estetica bolognese e alle donne della sua famiglia. Eppure, forse, il contributo più importante viene da una prostituta romana, ex insegnante di lettere antiche: nel documentario, come  nel memoir che ha scritto (“Portami tante rose”, Cooper, pp. 226, euro 13,50) , si mostra per quello che è: una una donna intelligente, colta, sensibile, che ha scelto con consapevolezza il suo mestiere e anche il suo nome: si chiama Tenera Valse, “appunto, per recuperare quel valore della femminilità che è la tenerezza”.

RF

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