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venerdì 29 Marzo 2024




“Che fare?” Quando a chiederselo sono gli operatori sociali

Il convegno promosso da Mammut, Gli Asini e Lo Straniero.

che-fare-convegnoÈ possibile far interventi reali, profittevoli, nel sociale in tempi di crisi? Il convegno “Che fare? Gli operatori sociali dentro la crisi”, tenutosi a Napoli venerdì e sabato, ha provato a dar risposta a questo interrogativo, provando a tracciare non solo un bilancio dell'esistente ma le prospettive future e le possibili soluzioni all'emergenza.

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Se la crisi è un dramma, è vero anche che le difficoltà hanno la capacità di svelare le falle del sistema, rendere evidente come dall'idea di welfare si sia passati a quella di carità o di come il disagio sociale sia andato trasformandosi in una questione di ordine pubblico. Giulio Marcon è il primo a prendere la parola: deputato indipendente per Sinistra ecologia e libertà, presidente del comitato tecnico scientifico della Scuola del sociale della Provincia di Roma, è stato tra gli ideatori e fondatori della campagna “Sbilanciamoci!” per la promozione dei principi della solidarietà, dell’uguaglianza, della sostenibilità, della pace, e ha le idee chiare su quanto la congiuntura economica, ma anche politica abbia coinciso con l'autosfruttamento del comparto sociale e di come occorra reinventarsi ai fini di riconquistare l'autonomia.

“Ormai in Italia di parla di welfare meridionalizzato per dire che anche nelle altre regioni italiane sta succedendo quello a cui ormai noi, al Sud, siamo abituati”: Marina Galati  di Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme è certa che le storie delle persone e dei diritti delle persone vadano ricordate in questo momento, e intrecciate con i servizi e i dati, per capirne meglio la natura: “I tanti bambini di Napoli – si chiede – cosa faranno ora con la chiusura dei servizi a loro dedicati? Spariranno?”. Ecco un ulteriore interrogativo: tagliando le voci di spesa, i problemi che fine fanno? “Perché – continua Galati – bisogna dirlo: mancano i fondi, è vero, ma c'è anche una finta economia, c'è anche il rafforzamento delle culture mafiose perché la povertà lascia dei vuoti che è necessario colmare. Il rischio più grande è quello dell'impotenza e dell'isolamento: ci si chiama fuori e viene meno l'idea che i diritti sociali si possano pretendere, e questo da più parti”.

Il comparto sanitario, allora, è un'altra delle incognite su cui puntare la luce. Roberto Landolfi spiega che è dalla nascita delle aziende sanitarie locali che il binomio tariffa-prestazione ha prodotto delle voragini: “La salute non può avere un prezzo, ma oggi noi sperimentiamo un federalismo pubblico con la diversa gestione sanitaria che varia di regione in regione”. Gli spunti di riflessione non mancano, dunque, e aumentano quando Alessio Scandurra di Antigone, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale nata alla fine degli anni ottanta, tocca il tema delle carceri, fornendo numeri, dati e provvedimenti: “Nel 2006  in prigione c'erano 61.200 persone e fu necessario l'indulto per risolvere il problema, una manovra costata molto in termini politici. Nel 2009, però, si era passati a 64.500 reclusi: la capienza delle nostre carceri non era certo aumentata, quindi la situazione è andata peggiorando, fino ad oggi, in cui abbiamo negli istituti circa 65.900 persone. La crescita dei detenuti non si è dunque fermata mentre le risorse sono calate del 10%”.  La Corte dell'Unione Europea ci ha condannati, ma dice anche che il "Sovraffollamento carcerario è strutturale": “Abbiamo, insomma, un anno di tempo per provvedere a queste condizioni, definite inumane e degradanti”. Le soluzioni? “C'è da dire che le pene alternative costano allo Stato decine d'euro al giorno per condannato mentre la detenzione nell'ordine centinaia, e ha un tasso di recidiva molto più alto (circa il 68%, mentre nel primo siamo al 19%)”. A tirare le somme, e fornire una prospettiva più larga, inclusiva quasi dei vari temi trattati, è Guglielmo Ragozzino, firma il manifesto e attivista di “Sbilanciamoci!”: “L'80% dei comuni italiani è stato fondato prima dell'anno mille, nei prossimi anni avremo 600mila ettari di città in più, in un paese che nel 2012 ha investito lo 0,19% del Pil nei Beni culturali, che ha 57 aree industriali gravemente inquinate. Abbiamo 10 anni di tempo da utilizzare per salvare il paese”. Su tutti i fronti.

RF

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