Il convento sui binari

Composto di vagoni ferroviari e abitato da francescani

carrozza-fra-carloCi si arriva percorrendo una strada che attraversa la campagna tra Piscinola e Miano. Imboccando una stradina laterale si giunge ad un cancello marrone. Una carrozza la si intravede già oltre il muro di cinta, all’ingesso ad aspettarci c’è il superiore,  Fra Carlo. Viene incontro sorridente, ma proprio non riesce a capire il nostro interesse per quei vagoni: “Dobbiamo pur ripararci”.

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L’ingresso dà su un cortiletto, alcuni frati stanno parlando con dei visitatori. Fra Carlo è sulla cinquantina, testa rasata e una barba bianca lunga mezzo metro, a parole sembra restio, ma il tono e la mimica manifestano arrendevolezza. E così pochi secondi dopo ci invita a salire sulla carrozza. Sta lì poggiata su due binari morti, ridipinta per intero di marrone. Mentre ci fa strada lungo la pensilina, dai finestrini intravediamo un frate che discute con un ospite in uno scompartimento trasformato in confessionale. Entriamo dentro in una piccola sala, al centro un tavolo di legno, alle pareti tra figure di San Francesco e crocefissi ci sono le tabelle del tempo in cui questo posto era in viaggio per l’Italia. “Dunque cosa volete?”, già sapendo che a incuriosire sono quelle carrozze. Ce ne sono in tutto cinque a comporre il convento.

“Sono qui dal 1976, e io c’ero quando le portarono”, racconta Fra Carlo, di origine lombarda e ormai napoletano di adozione: “ Le scaricarono con delle gru e le adagiarono su questi tratti di rotaia. Risaliranno agli anni cinquanta, fu un regalo delle Ferrovie dello Stato, ce le cedettero come se fossero ferro vecchio”. Da allora, in mezzo ad alberi e orticelli,  compongono uno scenario irreale. Ai francescani dell’ordine dei “Frati minori rinnovati” anche il terreno fu donato dall’allora proprietario. “La Provvidenza ha sempre aiutato questo convento, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che siamo votati alla povertà. Lo fondammo per dare ospitalità ai nostri allievi della facoltà Teologica a Capodimonte”, continua il superiore, “Niente automobii, si cammina solo a piedi, non usiamo denaro, riusciamo a sopravvivere grazie alle tante persone che fanno la spesa per noi. Con la crisi economica le offerte sono un po’ diminuite, ma la generosità dei napoletani resta la stessa. E con quello che ci portano riusciamo anche ad aiutare chi è in difficoltà”.

Oggi qui vivono nove frati. Secondo la Regola dell’Ordine svolgono vita contemplativa e attiva: sveglia notturna, preghiere, meditazione, esercizi spirituali, e poi all’esterno per aiutare e dare conforto a chi si rivolge per un sostegno: “Agiamo in alcuni dei quartieri più difficili della città. Qui c’è tanta miseria e degrado, ma allo stesso tempo voglia di reagire. In tanti ci raccontano di non aver altra scelta che l’illegalità per sopravvivere, ma vorrebbero tirarsene fuori,  altri vivono situazioni compromesse, cerchiamo di dare un conforto alle mogli, ai figli”. Un altro muro  separa la zona dedicata al ricevimento degli ospiti da quella della clausura. Qui ci sono altre quattro carrozze affiancate, sono le celle. Dagli scompartimenti escono i frati, percorrono il vialetto che conduce all’interno della cappella. E’ l’ora della preghiera, Fra Carlo ci fa cenno di uscire: “Questo resta sempre un convento”.

Luca Romano

(video di Mario Leombruno)

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