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venerdì 1 Dicembre 2023




Babù, licenza di stupire!

Babu 1Nel calcio, si sa, contano i risultati come in tutti gli ambiti della vita e gli allenatori per raggiungerli nel migliore dei modi si affidano all’estro imprevedibile dei loro fuoriclasse. Questi ultimi, contrassegnati in campo dal numero 10 che portano sulle spalle, disegnano geometrie impensabili per i comuni mortali, rendono felice un bambino sugli spalti per le loro giocate monstre, riescono a trasformare la monotonia di un’azione di gioco in una dolce sinfonia, e come solo i direttori d’orchestra sanno fare dettano il tempo con sagacia.

Il numero 10 fa parte di un altro ecosistema a dispetto dei suoi compagni e ne è consapevole: infatti quando la “nave” sta per affondare ecco che il “prescelto” sfodera tutto il suo savoir-faire sul rettangolo verde per raddrizzare le situazioni più intricate e compiere le più grandi imprese ardimentose. Il fuoriclasse è un artista dai piedi raffinati che per storia e tradizione emana un fascino irresistibile al cospetto di tifosi e allenatori. L’Afro Napoli dispone di parecchi campioni in rosa. Uno dei fiori all’occhiello dei biancoverdi è Anderson Rodney De Oliveira detto Babù che non a caso per le sue indubbie qualità tecniche e morali veste proprio la maglia numero 10. Il brasiliano quando scende in campo è un tuttofare: dribbla, scambia la fascia repentinamente con Dodò per non dare punti di riferimento agli avversari, scodella cross millimetrici in area di rigore e quando mette il turbo in contropiede non ce n'è per nessuno. Insomma, dategli un pallone tra i piedi e vi può inventare qualsiasi cosa.

Ti consideri un punto di riferimento per l’Afro Napoli alla luce della tua lunga esperienza nel mondo del calcio?

Dopo una lunga carriera in cui ho militato tre anni in Serie A, otto anni in Serie B, e tre anni di Serie C posso dire di essermi divertito abbastanza ricevendo anche delle belle soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di aver avuto allenatori importanti come Zeman, Ventura, Baldini, Zenga e Pioli imparando tantissimo dal calcio italiano. Spesso cerco di trasmettere, sia in allenamento che in partita, gli insegnamenti ricevuti ai più giovani. Loro osservano e al contempo apprezzano il mio modo di allenarmi e di concentrarmi prima di una partita per poi scendere in campo nel miglior modo possibile.

Ci sono delle analogie tra mister Ambrosino e Zeman, il mister che ti ha fatto esordire in Italia?

Ogni allenatore dispone di una precisa identità di gioco con i suoi metodi di allenamento. Il nostro tecnico è molto preparato: le sue trame di gioco prevedono che si giochi palla a terra ugualmente come fa Zeman. La scuola italiana degli allenatori è motivo di orgoglio di questo paese. Non a caso le migliori squadre del mondo sono state guidate da tecnici italiani.

Ti piace essere più assist-man o goleador?

Sono nato centrocampista per poi fare il trequartista. Poi Zeman, riscontrando le mie doti da velocista, mi ha trasformato in attaccante esterno, un ruolo che ricopro tuttora e che mi soddisfa. In virtù di ciò preferisco spesso e volentieri non tirare in porta con licenza di dispensare assist ai miei compagni.

Ti saresti mai immaginato da ragazzo di comparire un giorno su Wikipedia?

No, anche perché sono sempre stato coi piedi per terra. Ero consapevole della mia forza per arrivare a giocare a certi livelli ma è chiaro che sia la fortuna che i sacrifici sono coincisi nella mia carriera che giudico discreta.

Quando hai pensato di appendere le scarpe al chiodo?

Malgrado io abbia 36 anni, credo che smetterò di giocare tra 7-8 anni. Preciso di aver acquisito maggiore esperienza giocando nelle categorie inferiori, come in Promozione e in Eccellenza, nonostante la mia conoscenza acquisita in altri campionati.

Quali sono le tue ambizioni sportive e non?

Sul rettangolo verde cercare di essere un valore aggiunto per i giovani calciatori che si apprestano a fare questo mestiere tramandando loro quei valori che hanno contraddistinto la mia carriera. Fuori dal campo spero di essere un buon padre per i miei figli che sono la mia vita.

Che genere di musica ti piace ascoltare?

Mi garbano le canzoni americane e brasiliane, e qualche volta ascolto anche quelle italiane.

Se non avessi fatto il calciatore cosa avresti fatto nella vita?

Il preparatore atletico o l’allenatore avendo frequentato la facoltà di Scienze Motorie per un anno prima di giungere in Italia. Si vede che il calcio era nel mio destino.

Ci parli di qualche virtù della società Afro Napoli che non hai mai riscontrato nei tuoi precedenti club?

E’ una società umana che si occupa a 360° del calcio ma aiuta soprattutto i calciatori dentro e fuori dal campo, in special modo i profughi, a differenza del mondo del calcio professionista dove si vive solo per vincere e allenarsi. Questo tema affrontato dall’Afro mi piace e mi tocca personalmente.

Adotti qualche rito scaramantico prima di una partita?

No, anche perché sono cattolico e chiedo a Dio solo che nessuno si faccia male durante il match.

Ti piace Napoli?

Tantissimo. Questa città è particolare perché i napoletani sono allegri, disponibili, e generosi in qualsiasi momento.

Hai qualche rimpianto da calciatore?

Mi dispiace di aver avuto molti infortuni nella mia carriera e forse avrei potuto fare di più ma sono contento lo stesso di quello che ho fatto.

Chi è il regista della tua vita?

Dio. Credo molto in lui: mi dà grande forza per superare gli ostacoli e i problemi della vita.

Alessio Bocchetti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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