Dora Gambardella: “Manca la stabilità e una regia unica dei servizi”

dora gambardellaA Napoli manca una regia unica dei servizi per la prima infanzia; di contro il massiccio ricorso alla scolarizzazione anticipata si configura come l’unica strategia per la cura dei figli. Lo sostiene la sociologa dell’università di Napoli Federico II Dora Gambardella, che ha curato il capitolo napoletano dell’ultima indagine comparata sullo stato dei nidi e degli altri servizi da 0 a 36 mesi in Italia (contenuto nel volume “Investire nel sociale. La difficile innovazione del welfare italiano” a cura di Ascoli, Ranci e Sgritta, pubblicato da edizioni Il Mulino nel 2015).

Cosa emerge dagli studi realizzati: quale è lo stato dell’arte dei servizi per la prima infanzia a Napoli?

Quello che abbiamo registrato è un sottodimensionamento dei servizi della prima infanzia rispetto al resto delle città italiane, con una copertura tra le più basse a livello nazionale. La cosa interessante è stata trovare che, di fronte alla carenza dei servizi, molto spesso le famiglie rispondono anticipando le iscrizioni alle sezioni Primavera o addirittura alla scuola primaria. Questo dato, che riguarda Napoli e molte altre città del Sud, ci è sembrato preoccupante perché è chiaro che anticipare i tempi di un bambino significa un po’ forzarlo a situazioni che non sono state pensate espressamente per lui.

Senza allontanarci troppo e fare confronti con i paesi nord-europei, già nelle regioni settentrionali la situazione è nettamente migliore: c’è una questione meridionale anche in questo settore?

Quello che c’è qui è una compartecipazione molto bassa da parte delle famiglie (Napoli è forse la città dove la retta mensile costa di meno, 25 euro, per le famiglie povere). Ciò significa che il nido non è pensato, come invece accade altrove, come politica per sostenere la famiglia e in particolare la donna nella conciliazione di tempi di vita e di lavoro, ma per rispondere a una fascia di disagio socio-economico.

Quindi, per come è pensato a Napoli, il nido potrebbe rappresentare un incentivo per le donne, perché si rimettano sul mercato del lavoro, nell’ottica di contrastare l’inoccupazione femminile, secondo lei?

Questo sarebbe possibile a patto che non ci fosse la frammentazione che c’è oggi, ma fosse assicurata la capillarità del servizio passando da un territorio all’altro della città. Se fosse garantita la regolarità dei nidi, con orari prolungati e apertura nei mesi estivi, e quindi fosse coperto il diritto alla cura per ogni bambino della città, a prescindere dal posto in cui vive senza differenze tra luoghi serviti e non serviti, allora sì in un sistema strutturato e stabile, regolato da una unica regia, il nido potrebbe essere seriamente preso in considerazione come incentivo all’occupabilità femminile. Ma attualmente, per come è strutturato, le donne lavoratrici non riescono neanche a conciliare completamente famiglia e lavoro.

Quali punti deboli e, se ci sono, quali punti forti presenta il sistema prima infanzia a Napoli?

Il punto debole, ribadisco, è quello di trovarci di fronte a un sistema non stabile e strutturato, con il rischio che la frammentazione diventi caos e si corra il pericolo di ulteriori diseguaglianze, non fosse altro per le differenze territoriali e di copertura del servizio già presenti in città. Il punto forte è la capacità di rispondere alle carenze e ai disservizi in modo assolutamente innovativo con la capacità di integrarsi e mettersi in rete di esperienze e soggetti, dalle scuole alle famiglie passando per le associazioni del territorio.

Su cosa bisognerebbe intervenire affinché Napoli diventi davvero una città a misura di bambino?

Che Napoli non sia una città a misura di bambino è evidente, ma potrebbe diventarlo, se solo mettesse a regime un sistema stabile, con una regia pubblica in cui non sia necessario rinegoziare i diritti di anno in anno (dall’esempio banale della refezione che ogni volta è un problema, al quello della mancata lungimiranza rispetto alle scuole aperte con i PAC) ma con un orizzonte di garanzia nel tempo e nello spazio. In compenso, c’è una grande attenzione da parte del pubblico e del terzo settore che riescono a lavorare in integrazione per lo sviluppo del bambino.

M.N.

Gli articoli dell'inchiesta:

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