La gara (giusta) della solidarietà

Di Ida Palisi

solidarietaArriva, finalmente, la bella notizia che il sindaco di Napoli Luigi de Magistris devolve una parte del suo compenso da primo cittadino alle misure di emergenza per il Coronavirus. Una notizia che il sindaco ha fatto bene a rendere pubblica, nella speranza che il suo esempio venga seguito presto da altri.

Chissà, forse de Magistris avrà, a sua volta, seguito il buon esempio del commissario dell'ABC Sergio D’Angelo che, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno del 2 Aprile scorso, ha annunciato che devolverà metà del suo compenso mensile come amministratore dell’azienda pubblica dell’acqua, al Cotugno.

Una decisione che ha creato subito qualche discussione, quando non polemica, sui social, perché si dice che la solidarietà non si esibisce,  si fa.

Certo, ma dipende dalla solidarietà.

Perché quando si tratta di fare del bene non c’è il rischio di emulazione, semmai la speranza.

Non esiste, qui da noi, una spinta al dono come negli Usa, data da leggi che garantiscono agevolazioni fiscali a chi destina parte del suo patrimonio ad azioni solidali.

Qui da noi esiste la delega della solidarietà a chi è “deputato” ad attivarla e a gestirla, come se fosse tutto in capo alle organizzazioni sociali e del terzo settore, a prescindere dal fatto, obiettivo, che in situazioni di emergenza straordinaria come quella che stiamo vivendo, non si debba andare al di là dello status quo e della gestione ordinaria del welfare, per mettere in gioco tutte le risorse a disposizione a favore di chi non ne ha e forse non ne ha mai avute.

Nessuno, al mondo, era preparato, a una pandemia.

Nessun sistema sanitario era preparato ad accogliere malati di una malattia sconosciuta, e a procedere per tentativi di salvezza, e nessun sistema di welfare era preparato a reggere il colpo di intere famiglie improvvisamente senza reddito e senza la possibilità di un pasto a tavola, di persone senza casa che come unica chance hanno quella di spostarsi al marciapiede più in là, di detenuti costretti in celle affollatissime senza neanche la possibilità di un distanziamento individuale, figuriamoci sociale.

Nessuno di noi era preparato e ancora non lo è, però molti di noi siamo ancora fermi a credere di poter spendere il tempo imprigionati nello scambio virtuale dei gruppi WhatsApp o a polemizzare sui social, senza fermarsi un attimo a pensare: io cosa posso fare?

Allora è vero: chi ha responsabilità pubbliche deve dare il buon esempio. Ma occorre anche che questo esempio venga recepito, perché qui siamo tutti, ma proprio tutti, come Superman vicino alla kriptonite: con poche forze e un pericolo letale in agguato.

Non sprechiamo tempo in sterili polemiche o delegando la solidarietà. Capiamo noi che cosa possiamo fare.

Che si tratti di sostenere un ospedale o un fondo di emergenza, di mettere da parte la spesa per chi non ce l’ha, di sostenere a distanza chi ha bisogno di un supporto psicologico, di fare un turno al centralino per le richieste di aiuto, o di fare gratuitamente corsi di pilates o yoga on line per chi ha problemi fisici che la reclusione in casa può aggravare.

Non bisogna essere eroi per aiutare, solo umani.

Facciamo ognuno la nostra parte e invitiamo tutti gli amministratori pubblici (e io direi anche manager privati) a fare scelte solidali e responsabili e a mettere mano anche alle proprie risorse, per il bene della comunità e per fronteggiare questa emergenza con qualche sostegno in più.