“Fino alla fine Peppe De Fenza”

peppe de fenzaIl sorriso perennemente stampato sulle labbra, lo sguardo compiaciuto di chi ama e apprezza la vita più di ogni altra cosa al mondo nonostante le difficoltà che ci riserva ogni giorno. Una persona umile nonché genuina che si ritiene soprattutto felice perché possiede una ricchezza inestimabile: una famiglia, una moglie, i figli e degli amici che gli vogliono tanto bene.

Non appena lo conosci non puoi non ridere con lui per il suo profondo umorismo. I suoi compagni di squadra lo adorano e gli hanno persino creato un coro personalizzato dopo un suo goal in extremis che decretò il pareggio dell’Afro Napoli in casa contro il San Giuseppe. Peppe De Fenza non è solo un eccellente difensore centrale efficace nei contrasti e dotato di un ottimo senso della posizione ma è prima di tutto un uomo sensibile e dal gran cuore che fa dell’ottimismo la sua principale arma per fronteggiare la caducità umana. Se nello spogliatoio giocoforza si creano delle figure tipiche di riferimento, il numero 6 biancoverde rappresenta per antonomasia la simpatia in persona capace con una battuta o un’imitazione ad hoc di smorzare la tensione pre-gara. Peppe De Fenza è l’esempio di un calcio all’antica che oggigiorno non esiste più e che basa le proprie fondamenta sulla vera passione e sui sacrifici per vedere un pallone rotolare su un manto erboso piuttosto che soffermare la propria attenzione sulla parte patinata di questo sport (il denaro, il potere, il successo e la pubblicità). A volte mostrare il lato umano dei calciatori non è semplice perché si pensa dall’esterno che non ce l’abbiano se non in minima parte e lo stopper dei leoni ne è la prova evidente che non si deve mai generalizzare e che si può scardinare questo tipo di tabù. D’altronde c’era d’aspettarselo da uno come lui che è un vero e proprio guru per le sue perle di saggezza («la vita è così bella che non ci sono momenti per deprimersi, non ne vale la pena»), che incoraggia a non mollare chi si trova in difficoltà e che ha per motto una frase estrapolata da una canzone di Fiorella Mannoia (“Che sia benedetta”) che è un inno alla vita e che riassume nel migliore dei modi il concetto della nostra esistenza: «Per quanto è assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta». E l’Afro Napoli per essere competitiva anche nel prossimo campionato di Eccellenza ha subito blindato l’esperto difensore che è stato uno dei maggiori artefici della favolosa cavalcata dei multietnici nella conquista della Promozione.

A che età hai iniziato a giocare a calcio e per quale motivo?

Ho praticato questo sport dall’età di 6 anni seguendo le partite della Sampdoria targata Vialli e Mancini che vinse lo scudetto nell’edizione della Serie A 1990-1991. Infatti fino a pochi anni fa ero anche tifoso del Doria.

Hai iniziato la carriera calcistica sempre come difensore centrale?

Giocavo inizialmente terzino sinistro fino all’età di 23 anni, poi mi sono spostato al centro della difesa da quando non sono rientrato più nella regola degli under.

Cosa contraddistingue l’Afro Napoli dal resto delle altre squadre?

In questa società ci sono persone così professionali che è davvero difficile trovarle nel mondo del calcio. La dirigenza è composta da persone serie che hanno una grande umanità.

Quali sono i tuoi punti di forza?

La velocità, una caratteristica generalmente non riscontrabile in un difensore centrale, e poi anche l’impostazione della manovra di gioco.

Meglio una pizza sul lungomare Caracciolo o una partita a Fifa 18 sull’Xbox?

Preferisco fare una bella passeggiata a Mergellina e gustarmi una buona pizza anche perché non sono un amante dei videogiochi.

L’episodio più esilarante all’interno dello spogliatoio?

Ce ne sono a bizzeffe: c’è stato un periodo in cui noi calciatori eravamo divisi in gruppi ognuno dei quali simboleggiava una nazione e io rappresentavo l’Unione Sovietica: c’era una lotta infinita tra di noi e a vicenda ci tagliavamo sia le mutande che i calzini e in alcune sedute di allenamento ci siamo ritrovati senza indossare la biancheria intima.

Sei un grande imitatore. Qual è la parodia che ti riesce meglio?

Quella di mister Ambrosino e lui lo sa: imito le sue movenze facciali, le sue urla e le parole che utilizza prima di ogni partita.

Qual è la tua formazione più forte di tutti i tempi?

Buffon, Cafu, Thuram, Maldini, Marcelo, Pirlo, Iniesta, Messi, Maradona, Ronaldinho, Ronaldo.

Cosa manca alla Serie A per competere con la Liga e la Premier League?

Credo che il livello del nostro campionato sia inferiore al calcio praticato sia in Spagna che in Inghilterra perché da noi non si dà priorità alla valorizzazione del settore giovanile. L’eliminazione del nostro Paese alle qualificazioni Mondiali riflette il decadimento del calcio italiano.

In quale difensore del passato o del presente ti riconosci di più per caratteristiche fisiche e tecniche?

Quando giocavo sulla fascia sinistra gli addetti ai lavori mi dicevano che assomigliavo a Gianluca Zambrotta. Da centrale invece mi ispiro a Paolo Maldini, un grande esempio per me.

Qual è l’attaccante che più ti ha messo in difficoltà quest’anno?

Ne cito due: il capocannoniere del campionato, La Pietra, e Mazzeo. Il primo è difficile fermarlo per la sua velocità mentre il secondo è un attaccante che si fa sentire in area di rigore e protegge la palla nel migliore dei modi.

Fino ad ora qual è l’emozione più bella che ti ha regalato il calcio?

Le vittorie dei campionati e le promozioni in altre categorie: con la maglia della Sarnese vinsi i playoff e passammo dall’Eccellenza alla Serie D; poi ricordo con piacere un campionato di Eccellenza vinto col Marcianise, un altro con l’Ercolanese e l’ultimo in Promozione con l’Afro Napoli.

Che sapore ha la vittoria di questo campionato vinto dall’Afro Napoli?

Bellissimo: io sono dell’idea che vincere non è mai facile e quando accade succede qualcosa di straordinario. La propria forza bisogna sempre dimostrarla sul campo e noi lo abbiamo fatto sin dall’inizio. Nell’Afro Napoli dal primo giorno di ritiro si è creata un’atmosfera familiare tra noi, i dirigenti e il mister. È stata un’annata memorabile.

Qual è stata la delusione più difficile da smaltire?

La finale nazionale dei playoff di Eccellenza persa con la maglia del Ricignano contro il Trapani. Una sconfitta forse per certi versi anche scontata dal momento che il Trapani era la squadra favorita e dimostrò negli anni avvenire di essere una corazzata.

Come si è creato il tormentone “Fino alla fine Peppe De Fenza?”

Subito dopo il mio goal al fotofinish che sancì il pareggio dell’Afro Napoli contro il San Giuseppe al Vallefuoco. All’indomani della partita attraverso una mia singolare imitazione riprodussi l’azione del goal con tanto di esultanza e tutti i miei compagni alla fine crearono questo coro.

Come vivi il pre-partita?

All’inizio della carriera mi facevo prendere troppo dall’ansia e non rendevo in campo come avrei voluto. Invece da pochi anni grazie anche all’esperienza acquisita affronto la tensione in maniera diversa, con semplicità e con la giusta concentrazione.

Hai qualche rituale scaramantico prima del match?

Quest’anno ho sperimentato un episodio che poi è stato riproposto per tutto l’arco del campionato dopo averci portato un po’ di fortuna. Dopo che ogni arbitro effettuava il riconoscimento a noi calciatori, nello spogliatoio mentre i miei compagni stavano in cerchio io appositamente stavo in bagno e aspettavo che uno di loro mi chiamasse per raggiungerli.

Mi indichi una canzone emblematica che rappresenta questa stagione fantastica?

“Meraviglioso” dei Negramaro.

Una domenica senza il calcio come la trascorri?

Con la mia famiglia anche se ammetto che sto male se non pratico questo sport per più di un giorno. Tra circa un mese compirò 34 anni e posso garantire che la passione per questo sport non scema mai.

Un tuo giudizio su “Il Che” Antonio Gargiulo

È una persona a volte timida ma lo reputo un presidente eccezionale perché è sia gentile che buono con noi calciatori.

Una riflessione sull’allenatore Salvatore Ambrosino.

Si tratta di un grande professionista nel mondo del calcio dilettantistico. Lui insieme col suo staff tecnico è da Serie A e i risultati che ottiene alla fine sono la prova evidente del suo grande lavoro.

Una frase motivazionale tipica del mister in questa stagione?

Ripete spesso “veloce, veloce” durante le partite e gli allenamenti in riferimento alla manovra di gioco che deve essere sempre fluida. Questa caratteristica ci ha contraddistinto fortemente da tutti gli altri avversari dal momento che questi ultimi li abbiamo messi costantemente in difficoltà.

Cosa non ti piace nel mondo del calcio?

La mancanza di riconoscenza.

Qual è il tuo più grande rimpianto?

Il fatto di aver raggiunto la maturazione nel calcio e una consapevolezza nei propri mezzi troppo tardi.

Se non avessi fatto il calciatore quale mestiere avresti scelto?

L’imitatore o il cantante anche perché ascolto molta musica.

La cosa che più ti rende orgoglioso nella vita?

Che sono una persona onesta, leale, sincera e allegra che crea un rapporto con le persone senza nessun tornaconto.

Alessio Bocchetti

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